Nadia Lambiase, Author at Mercato Circolare https://www.mercatocircolare.it/author/nadia/ l'economia che gira bene Mon, 01 Apr 2024 16:28:46 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.4 https://www.mercatocircolare.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-Temp_IconaLogoMC2020_bluDark-32x32.png Nadia Lambiase, Author at Mercato Circolare https://www.mercatocircolare.it/author/nadia/ 32 32 Dall’economia della ciambella all’economia del tarallo https://www.mercatocircolare.it/dalleconomia-della-ciambella-alleconomia-del-tarallo/ Sat, 30 Mar 2024 15:31:35 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=3760 Piccolo taccuino di viaggio – Bari 24 e 25 marzo 2024 Domenica 24 marzo, ore 14E’ una giornata stupenda: sole luminoso e vento fanno risaltare […]

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Piccolo taccuino di viaggio – Bari 24 e 25 marzo 2024

Domenica 24 marzo, ore 14
E’ una giornata stupenda: sole luminoso e vento fanno risaltare ancora di più il bianco della pietre, che ci circonda tutto attorno. Siamo sedute in una trattoria nel centro storico di Bari, e Rosa Ferro ci racconta la sua storia e quella della cooperativa sociale che ha fondato.
Quando aveva 20 anni Rosa pensava di diventare giornalista, invece la vita l’ha portata a occuparsi di cultura, sociale e marginalità, per la sua città e non solo. A metà degli anni ‘80 ha fondato la cooperativa Fantarca, che nel 1999 diventa Il nuovo Fantarca, e da allora è diventata la sua seconda casa. La cooperativa opera per la promozione dei diritti umani, della nonviolenza, della giustizia sociale e dello sviluppo della persona attraverso percorsi culturali di media education, media literacy e l’uso sperimentale delle nuove tecnologie. Fa del cinema per bambini e bambine, ragazzi e ragazze la sua attività principale.
Una delle tante iniziative che portano avanti si chiama Cinema in Ospedale, progetto innovativo e sperimentale nato nel 2021 nell’ambito del progetto europeo Film in Hospital con l’obiettivo di promuovere il cinema europeo di qualità presso bambini, bambine e adolescenti degenti o in cura domiciliare, assistiti dagli ospedali pediatrici europei. La cooperativa non si limita a rendere il cinema accessibile tramite piattaforme ma entra fisicamente negli ospedali, l’unica tra gli 8 partners di 8 paesi diversi (Italia, Belgio, Svezia, Spagna, Slovenia, Croazia, Grecia e Germania).
Tra le altre cose, insieme al Centro di documentazione per la legalità e la nonviolenza Antonino Caponnetto, Il nuovo Fantarca ha dato vita al Festival Una nuova storia, giunto quest’anno alla quinta edizione dedicata a temi irrinunciabili in questo momento storico come l’ambiente, la sostenibilità, la giustizia ed equità sociale, l’immigrazione, la crisi climatica, le guerre, la necessità di costruire una cultura della pace e della nonviolenza.
Ed è proprio in questo contesto che Eleonora ed io siamo state invitate a parlare del libro L’economia della ciambella spiegata alle bambine e ai bambini.
Maria Rosaria, collaboratrice di Rosa lo ha incontrato in una libreria e si è incuriosita, lo ha letto e insieme lo hanno scelto come libro da proporre alle scuole elementari di Bari.
E così ci hanno invitate a incontrare le classi che hanno letto il libro.

Lunedì 25 marzo, ore 13.30
Abbiamo appena finito un fantastico e interminabile firma copie anomalo: invece di firmare i libri, bambine e bambini chi hanno chiesto l’autografo sulle cartoline che abbiamo dato loro per fare l’attività del laboratorio.
Siamo in periferia, vicino alla tangenziale, in un posto pieno di verde e giardini pubblici in fiore. L’istituto comprensivo Loi-Santomauro si distingue già da lontano: un enorme blocco di cemento. Ma se tanto grigio e anonimo appare da fuori, un’energia colorata e vitale abita la scuola, le classi e le insegnati che sono all’interno.
Un’energia che ci ha pervase non appena siamo entrate nell’Auditorium dove ci attendeva un tripudio di cartelloni dedicati al nostro libro e realizzati dalle due terze e quattro quarte che lo hanno letto. Ci siamo commosse nel vedere i disegni di tante Ada e tanti Gino e dei diversi omini e omine che i due protagonisti incontrano nel loro viaggio, per non parlare dei cartelloni e disegni con cui bambine e bambini ci hanno raccontato cosa rende loro felici: giocare con mia sorella perché la vedo ridere; stare con i miei cani, perché anche a loro piace stare con me; passare del tempo con i nonni; guardare Capitan Mutanda, perché mi fa ridere; mangiare; correre nella natura; quando sono allo stadio con mio papà e mio cugino a vedere il Bari.
In aggiunta ai cartelloni appesi, le bambine e i bambini ci hanno anche regalato a loro volta un libro con tutti i loro disegni e impressioni sul libro:
“Mi è piaciuto molto questo libro perché parla di un argomento da adulti: L’ECONOMIA, spiegandola con un linguaggio comprensibile a noi bambini” (Mattia 4a)
“…mi è piaciuto in particolare il modo che aveva di scrivere la bambina. Mi sono piaciuti moltissimo i disegni. Mentre lo leggevo ho immaginato un sacco di case: la bellezza dell’avventura; l’entusiasmo della bambina….” (Beatrice 4a)
Insomma, questa mattina la lezione l’hanno tenuta le bambine e i bambini a noi!
A dialogare con noi e le classi era presente anche Mattia Schepisi, un attivista di Fridays for Future Bari, anche lui travolto dal firma copie finale.

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Il progetto in Senegal cresce: aumentano le realtà censite e le zone di intervento https://www.mercatocircolare.it/il-progetto-in-senegal-cresce-aumentano-le-realta-censite-e-le-zone-di-intervento/ Mon, 18 Dec 2023 16:44:36 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=3591 Di nuovo in Senegal. Da lunedì 27 novembre a mercoledì 6 dicembre 2023 ci siamo tornati per la quarta vota. La nostra presenza in Senegal […]

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Di nuovo in Senegal. Da lunedì 27 novembre a mercoledì 6 dicembre 2023 ci siamo tornati per la quarta vota. La nostra presenza in Senegal è legata all’ONG LVIA, con la quale, dal 2021 stiamo portando avanti un lavoro di cartografia delle realtà di economia circolare in Senegal che vengono inserite nell’applicazione Mercato Circolare.

Il tutto è cominciato grazie al progetto Coopen, conclusosi nel 2022, che ci aveva permesso di portare la app Mercato Circolare in Senegal, in particolare nella regione di Thiés e di Dakar. In continuità con Coopen, il progetto ProVives – PROgramma di Valorizzazione dell’Impresa VErde e Sociale per l’innovazione, la crescita e il lavoro, finanziato da dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, si propone di rafforzare i risultati ottenuti e di allargare ad altre regioni del Senegal – Louga e Saint-Louis – la mappatura delle realtà locali di economia circolare.

Infatti, ProVives, di cui abbiamo parlato in occasione della nostra terza missione in Senegal, intende contribuire alla promozione della crescita economica sostenibile e inclusiva dell’imprenditoria e dell’occupazione

È stato bello vedere vedere i frutti del lavoro di questi 3 anni. In particolare, durante questa missione abbiamo avuto modo di incontrare alcune delle realtà censite sulla app.

Il 2 dicembre, infatti, a Saint Louis si è svolta la Fiera delle imprenditrici e imprenditori di Saint Louis e Louga, cartografati sul progetto Provives.
Si tratta per lo più di attività artigianali come l’impresa di donne, Nitè Gandiol, che lavora i tessuti con tinture naturali come argilla, cenere, bissap (frutto del Senegal); c’è chi produce piccole e medie sculture a partire dai rottami delle biciclette e dei motorini, come Meissa e Basse Fall padre e figlio, o chi produce imstallazioni d’arte a partire da materiali di scarto come Samba, di Plastic vision for Sopi. Altre imprese lavorano nella filiera della plastica, o producendo plastica riciclata come Defarat, o realizzando arredi a partire da plastica riciclata. C’è anche un azienda, Ban ak suuf, attiva nel settore delle eco costruzioni che realizza abitazioni utilizzando paglia e argilla.

Sempre a Saint Luois, il 1° dicembre si è svolto il forum sull’economia circolare organizzato in collaborazione con l’Agence Régionale de Développement-Saint Louis, in cui abbiamo avuto modo di presentare la APP Mercato Circolare.

Durante le due giornate a Saint Louis è stata esposta nella piazza principale della città la mostra fotografica OR DUR, una serie di scatti firmati Mattia Alberani a Mbeubeuss, la discarica a cielo aperto di Dakar, per raccontare le storie delle persone che animano questi luoghi, ovvero i recuperatori e le recuperatrici di rifiuti. Alcuni di questi rifiuti vengono avviati al riciclo, altri vengono valorizzati per fare oggetti o opere d’arte, grazie ad alcuni artisti individuati da LVIA, grazie al lavoro di cartografia del progetto  PRO.VI.VES

La cosa commovente è stato vedere la piazza riempirsi di bambini e bambine, sia quelli che uscivano da scuola, ben vestiti e con le scarpe, sia quelli che a scuola non vanno, ma stanno in giro tutto il giorno scalzi a chiedere le elemosina. Tutte e tutti volevano sapere, e farsi raccontare delle persone ritratte nelle foto.

Non sono mancate viste ad aziende e realtà su Thiés  e Dakar, come il progetto Récup’Oil che nasce da un’azienda di disinfestazione dei ristoranti e che ha avviato un’attività di recupero degli oli di frittura per produrre sapone.

Durante la missione abbiamo avuto modo di organizzare, presso la sede di Louga del CISV, un momento formativo per i diversi partner del progetto PRO.VI.VES relativo a una corretta progettazione e gestione, da un punto di vista di sostenibilità integrale, di un evento.

Questo nuovo viaggio in Senegal è stata anche l’occasione per dare avvio al nuovo bando SPRINT, finanziato da Cariplo Factory, per consolidare alcune delle soluzioni sostenute nell’ambito del Progetto Innovazione per lo sviluppo di Coopen. Grazie al progetto Senegal circolare sarà possibile estendere la mappatura delle realtà di economia circolare alla Petite Cote, zona del Senegal caratterizzata da un forte sviluppo economico, trainato dalla presenza del nuovo aeroporto e da attività redditizie come pesca e turismo. Il progetto, il cui capo fila è l’ONG LVIA verrà implementato in partenariato con l’OSC senegalese JVE (Jeunes Volontaires pour l’Environnment) e con il nostro supporto tecnico.  Mercato Circolare, infatti, implementerà nuove funzioni alla app per renderla più fruibile e attrattiva sia per i cittadini che per le aziende.

L’ultimo giorno di missione, prima di andare all’aeroporto di Dakar, ci siamo fermati nel distretto di Mbao, a trovare l’associazione culturale Diwane G Management, molto attiva sul campo nel portare avanti progetti e campagne di sensibilizzazione di protezione e cura dell’ambiente. Uno dei fondatori dell’associazione è Leuz Diwane G rapper senegalese, testimonial con le sue canzoni di come la cultura possa contribuire a sensibilizzare e coinvolgere un pubblico vasto nella lotta contro il cambiamento climatico e nella cura dell’ambiente. Lo si può ascoltare nel singolo Feneen, prodotto da Frank Sativa, insieme al rapper italo senegalese F.U.L.A., prodotto all’interno del progetto MIGRA realizzato dalla ONG CISV insieme a  LVIA e COSPE onlus.

Torneremo ancora in Senegal nel 2024 e nel 2025 e sarà sempre più bello ed emozionante vedere l’evolversi del progetto.

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Che cos’è un abito? https://www.mercatocircolare.it/attacca-bottone/ Thu, 21 Sep 2023 14:14:37 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=3486 Riflessioni filosofico – pratiche per raccontare l’avvio del progetto Attacca Bottone Che cosa è un abito? Un manufatto che ci copre dal freddo e dal […]

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Riflessioni filosofico – pratiche per raccontare l’avvio del progetto Attacca Bottone

Che cosa è un abito?

Un manufatto che ci copre dal freddo e dal sole. Ma anche che ci rende più belli e belle.
Ci copre dalla nudità, nasconde i nostri corpi dallo sguardo altrui. E contemporaneamente ci mette in vista, attira lo sguardo altrui su di noi.

Nel libro della Genesi si legge che ad Adamo ed Eva, dopo aver mangiato del frutto che Dio aveva detto loro di non mangiare, “si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture” (Genesi 3, 7).
L’abito – e non un utensile, un’arma, o un gioco – è il primo manufatto della storia, il primo atto di manipolazione del mondo da parte dell’essere umano, come sottolinea il filosofo Emanuele Coccia.

Cosa è allora un abito?
È un oggetto caratterizzato da attributi opposti: definisce la condizione di visibilità dei nostri corpi, nel momento stesso in cui li nega alla vista altrui. È qualcosa che portiamo, indossiamo, perché un abito ha bisogno di un corpo per assumer vita ed essere ammirato, ma così facendo conferisce a noi bellezza ed è quindi lui a portarci, ci permette di arrivare là dove, da soli, nudi, non potremmo arrivare.

Ecco, dunque, due caratteristiche che possiamo riconosce agli abiti.
Sono oggetti soglia: non si situano nello spazio, ma nell’intersezione che separa l’essere umano dal mondo che lo circonda, abitano l’intervallo che separa e unisce la coscienza e la realtà oggettiva.
Sono oggetti metamorfici: sono dei trasmettitori di proprietà che il soggetto e il corpo non sono in grado di ottenere autonomamente. Abbiamo bisogno degli abiti per trasformarci (pensate alla cravatta, all’abito da cerimonia, alle divise o alle maschere..). La personalità passa da una dimensione soggettiva, privata, a un riconoscimento oggettivo, pubblico.

Due, in realtà, sono le tipologie di abiti raccontati nella Genesi. Infatti, pochi versetti dopo si legge: Allora “Dio, il Signore, fece per l’uomo e la sua donna tuniche di pelle e li vestì”. (Genesi 3, 21)
Oltre a notare ironicamente che nella Genesi è già presente l’idea di collezione primavera/estate e autunno/inverno, Emanuele Coccia si sofferma sul materiale utilizzato: piante e animali. Per vestirci, così come per nutrirci abbiamo bisogno della vita altrui. La vita, per noi esseri animali è sempre “vita degli altri” (cibo e vestito). Solo le piante, creature celesti, grazie all’energia soleare, non hanno bisogno di vite altrui per vivere, anzi, donano vita.

Da qualche tempo a questa parte, tuttavia, per gli abiti come per tanti altri oggetti, spopola il materiale sintetico. Che a ben vedere altro non è che petrolio, ossia materia organica fossile, materia che un tempo fu vita. Ancora una volta ci vestiamo di vita morta altrui.
Destinata a diventare un rifiuto, sempre più in fretta.
Se un tempo infatti, il materiale di origine vegetale o animale, garantiva una lunga vita agli abiti, oggi con i materiali sintetici non è più così. Compriamo sempre più vestiti che durano sempre di meno.
Ecco alcuni dati.

La quantità di materiali tessili consumata pro capite è globalmente è cresciuta da 9 kg nel 2000 a 14 kg nel 2020. E ci si aspetta superi i 17 kg nel prossimo decennio. Questo aumento di consumo del materiale tessile significa aumento di consumo di acqua e materie prime. Da un punto di vista del consumo privato dei singoli nuclei famigliari dell’UE, infatti, il settore tessile (vestiti, calzature e biancheria domestica) occupa la quarta posizione, per quanto riguarda il consumo di materie prime e acqua dopo il settore alimentare, consumi domestici, e i trasporti.
E a fronte di questo aumento del consumo si stima che meno dell’1 % di tutti i prodotti tessili nel mondo siano riciclati in nuovi prodotti.

Attacca Bottone

Consapevoli dunque che un abito ha contemporaneamente una funzione pratica e una funzione estetica e che ha un peso materico che va gestito, tanto nella sua origine quanto nella sua fine, il progetto Attacca Bottone intende proporsi come un percorso culturale in grado di tenere assieme la complessità dei temi legati alla moda e sostenibilità con la creatività, attraverso 5 laboratori. Quattro pratico creativi – Cucito creativo a cura di Sassi, Tintura naturale a cura di Emina Batik, Serigrafia a cura di Volcanic DreaM e Telaio a cura di Lavgon – e uno di narrazione, il laboratorio di Podcast curato da Mercato Circolare.

Promosso dall’Associazione Alvà e da 5Pani Emporio Solidale Piossasco, con il sostegno di Fondazione Compagnia di San Paolo, il progetto Attacca Bottone si propone di ripartire dall’abito come oggetto in grado di spostare l’esperienza etica ed estetica in quella quotidiana quotidiana che ciascuno e ciascuna di noi ha con sé stesso, con gli altri e con il mondo.

Per info su programma e modalità di iscrizione associazionealvapiossasco@gmail.com

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Around e la “R” Ricontenere. La strategia vincente contro il monouso https://www.mercatocircolare.it/around-e-la-r-ricontenere-la-strategia-vincente-contro-il-monouso/ Sun, 13 Nov 2022 17:14:57 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=3207 Avete mai immaginato di poter andare nella vostra gelateria preferita a prendere una vaschetta da asporto e non sentirvi in colpa per l’ennesima vaschetta in […]

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Avete mai immaginato di poter andare nella vostra gelateria preferita a prendere una vaschetta da asporto e non sentirvi in colpa per l’ennesima vaschetta in polistirolo mono uso, destinata a diventare inesorabilmente un rifiuto? Oggi grazie ai contenitori Around, non è più un miraggio!

Gli imballaggi rappresentano il 36% dei rifiuti prodotti in Europa e la maggior parte di questi, ad oggi, sono progettati per essere mono uso. Ovvero, proprio come la nostra vaschetta di gelato, una volta esaurita la funzione di contenere il contenuto originale, l’imballaggio può solo essere buttato via.
Un contenitore monouso in plastica viene usato in media per 60 minuti e, una volta rifiuto, nella migliore delle ipotesi, viene riciclato. Nella peggiore si disperde nell’ambiente e si smaltisce in oltre 100 anni.

Gli oggetti di plastica monouso costituiscono il gruppo più numeroso di rifiuti trovati lungo le coste marine: secondo uno studio del 2016, al primo posto, per quantità, ci sono le bottiglie in plastica. E secondo un rapporto del WWF, uscito nel 2019 ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mediterraneo e si prevede che entro il 2050 l’inquinamento nell’area mediterranea quadruplichi.

Per questo la Commissione Europea ha elaborato la Strategia europea per la plastica nell’economia circolare, ponendo particolare attenzione ai prodotti in plastica monouso e agli attrezzi per la pesca contenenti plastica, oggetto della Direttiva UE 2019/904, meglio conosciuta come direttiva SUP (Single Use Plastics), entrata in vigore in Italia il 14 gennaio 2022, con  il decreto legislativo 196/2021.

La Direttiva 2019/904, a cui abbiamo dedicato un approfondimento, per i contenitori di alimenti (destinati al consumo immediato) e tazze per bevande inclusi i relativi tappi e coperchi, prevede la riduzione al consumo. Arrivando a vietare totalmente tali prodotti se realizzati  in polistirene espanso.

Ora, il decreto legislativo italiano 196/2021, a differenza della Direttiva europea, introduce una deroga a tale divieto prevedendo semaforo verde per imballaggi in plastica compostabile. Questo promuove e rende possibile tale alternativa (di materiale) a discapito di alternative riutilizzabili, e quindi alternative di comportamenti. Infatti, prima ancora di un problema di materiali (plastiche fossili no/plastiche di origine vegetale sì) vi è un problema di eccesso di prodotti mono uso che andrebbero ripensati totalmente per essere riutilizzati.

O sarebbe meglio dire, prendendosi licenza poetica, ri-riempiti! Infatti, è tempo che, tra le R dell’economia circolare, entri in gioco una nuova ‘R’: Ricontenere. Nuova per modo dire perché nei fatti, è stata molto in voga, ancora fino al secondo dopoguerra. Si tratta di una strategia (come spieghiamo nel nostro web game eRRRando) che mira ad allungare la vita dei prodotti, specificatamente riferita a imballaggi come bottiglie, piatti, flaconi e prodotti tipicamente usa e getta e mono uso come gli assorbenti o i pannolini. Possiamo dire che la ‘R’ Ricontenere è una sotto categoria della R riutilizzare, dove ritroviamo anche la strategia del mercato dell’usato, ma visto che ha una sua specificità così netta, riteniamo culturalmente importante dare maggior dignità a tale strategia, assegnandole un nome preciso. Infatti, solo se le cose vengono nominate e  determinate, possono essere viste, e quindi agite.

Solo se nominiamo la strategia Ricontenere, capiamo quali azioni mettere in atto per contrastare il mono uso e l’usa e getta:  le imprese devo progettare prodotti riutilizzabili, o meglio ririempibili, nel tempo e strutturarsi affinché i propri prodotti possano essere distribuiti/venduti sfusi o attivare  logiche di “vuoto a rendere”; lato utente significa scegliere di acquistare prodotti sfusi o podotti progettati per essere riusati più volte nel tempo.

Proprio per questo Mercato Circolare ha scelto di sostenere Around che ha dato un volto alla ‘R’ Ricontenere. Nato per contrastare l’imperare degli imballaggi monouso, Around è il primo servizio sostenibile di packaging riutilizzabile (cioè progettato per ricontenere!) attivo in Italia, digitale e senza deposito, che fornisce a locali e consumatori, contenitori di alta qualità per l’asporto e per il food delivery.

I contenitori Around, infatti, possono essere usati più volte e sono dotati di Qr code che rimanda all’app Aroundrs, disponibile su Apple store e Google play, attraverso cui viene gestito il processo di presa e consegna. Gli esercenti commerciali possono sottoscrivere un abbonamento con vantaggi e servizi differenti in base alle proprie esigenze e diminuire la propria impronta ambientale riducendo la quantità di rifiuti da imballaggio nei servizi di asporto e delivery.
I clienti, invece, attraverso l’app possono visualizzare i locali che hanno aderito al progetto da cui noleggiare gratuitamente il packaging Around per il loro asporto e restituirlo entro sette giorni. Del lavaggio si occupa il ristorante stesso, a meno che non abbia accesso al servizio extra di lavaggio centralizzato di Around.

Ogni singolo utilizzo è tracciato in maniera da poter quantificare in tempo reale il beneficio ambientale derivante dall’utilizzo del servizio e poterlo certificare agli utilizzatori. Up2you ha calcolato che grazie ai suoi 200 riutilizzi un solo contenitore Around è in grado di risparmiare 25 kg di CO2, con una performance nettamente superiore rispetto alle alternative usa e getta in carta, alluminio e bioplastica.

Nata nel corso del primo lockdown per far fronte all’aumento di sprechi dovuto all’impennata della domanda di servizi di asporto e consegna a domicilio, oggi Around è già presente a Roma, Torino, Firenze e Milano. 
Nei giorni scorsi ha lanciato una campagna di crowdfunding, insieme a Banca Etica sulla piattaforma Produzioni dal Basso, per ampliare il network dei locali che mettono a disposizione dei propri clienti i contenitori riutilizzabili di Around.

L’obiettivo è raccogliere 15 mila euro che permetteranno di mettere il servizio a disposizione, gratuitamente, per 100 locali in tutta Italia, riducendo di 1 tonnellata di Co2eq l’impatto ambientale derivante dall’utilizzo dei contenitori monouso.

In questo viaggio, Around non è sola, ma è accompagnata da una rete di realtà che si occupano di implementare, diffondere e misurare pratiche di sostenibilità: Mercato Circolare, Up2You, Plastiz, Legambiente, GreenTo, Make It Tasty, Impact Deal e Torino City Lab, il laboratorio di innovazione del Comune di Torino.


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SUPereremo la plastica usa e getta? La direttiva europea Single Use Plastics e la sua applicazione nel contesto italiano. https://www.mercatocircolare.it/supereremo-la-plastica-usa-e-getta/ Thu, 30 Jun 2022 12:30:28 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=3107 Il basso costo (presunto) e la versatilità delle materie plastiche ne hanno fatto un materiale onnipresente nella vita quotidiana. La loro produzione e smaltimento, però, […]

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Il basso costo (presunto) e la versatilità delle materie plastiche ne hanno fatto un materiale onnipresente nella vita quotidiana. La loro produzione e smaltimento, però, se non avviene all’interno delle filiere di riciclo, ha un impatto negativo sull’ambiente e la salute degli ecosistemi.
Secondo un rapporto del WWF, uscito nel 2019 ogni anno 570 mila tonnellate di plastica finiscono nelle acque del Mediterraneo e si prevede che entro il 2050 l’inquinamento nell’area mediterranea quadruplichi.

Nel Piano d’azione dell’UE per l’economia circolare (COM(2015) 614/2), la Commissione Europea ha individuato il mondo delle plastiche come priorità chiave e si è impegnata a elaborare “una strategia per affrontare le sfide poste dalle materie plastiche in tutte le fasi della catena del valore e tenere conto del loro intero ciclo di vita”.
Con la Comunicazione (COM(2018)0028) del 16 gennaio 2018, la Commissione ha elaborato la Strategia europea per la plastica nell’economia circolare, frutto degli impegni assunti nel piano d’azione UE sulla produzione e l’uso della plastica.
L’obiettivo di tale Strategia è di promuovere una progettazione della plastica e dei prodotti che la contengono, assicurando entro il 2030 la piena riciclabilità di tutti gli imballaggi immessi sul mercato nell’Unione europea, nonché il riciclo di oltre la metà dei rifiuti plastici.
Nella Strategia, inoltre, al fine di diminuire la produzione dei rifiuti di plastica e il loro abbandono in mare, viene posta particolare attenzione ai prodotti in plastica monouso e agli attrezzi per la pesca contenenti plastica, oggetto della Direttiva UE 2019/904, meglio conosciuta come direttiva SUP (Single Use Plastics), entrata in vigore in Italia il 14 gennaio 2022.

Divergenze tra Europa e Italia

La direttiva europea definisce la plastica quel “materiale costituito da un polimero […] cui possono essere stati aggiunti additivi o altre sostanze, e che può funzionare come componente strutturale principale dei prodotti finiti, a eccezione dei polimeri naturali che non sono stati modificati chimicamente”(Art. 3)

Questo significa che le restrizioni e le ulteriori regole/target presenti nella Direttiva si applicano sia alle plastiche tradizionali che alle plastiche realizzate a partire da biomasse (biobased), indipendentemente dal fatto che siano o meno biodegradabili e compostabili. Infatti, le principali plastiche  biobased comunemente utilizzate per la realizzazione di articoli in plastica monouso biodegradabili e compostabili (es. PLA, Mater-Bi) sono, polimeri naturali modificati chimicamente derivanti dalla trasformazione degli zuccheri presenti nel mais, barbabietola, canna da zucchero e altri materiali naturali.

Proprio questo aspetto è stato uno dei punti oggetto di modifica da parte del governo italiano. Il decreto legislativo italiano (n. 196/2021) che recepisce la direttiva, infatti, esclude gli articoli monouso in plastica compostabile secondo gli standard UNI EN 13432 e UNI EN 14995 prodotti con almeno il 40% di materia prima rinnovabile (e quindi biobased); soglia che salirà al 60% a partire dal 1° gennaio 2024. Sono esclusi dall’applicazione della direttiva anche i poliaccoppiati cioè i prodotti con rivestimento polimerico in proporzione inferiore al 10% del peso dell’articolo, purché non siano un componente strutturale del prodotto finito. Tali eccezioni, specifica il decreto, sono ammissibili a patto che non vi siano alternative riutilizzabili ai prodotti in plastica monouso oggetto della direttiva e destinati al contatto con alimenti e per casi specifici quali, ad esempio, i circuiti controllati di mense di strutture pubbliche al fine di garantire livelli idonei di igiene e sicurezza, e qualora l’impatto ambientale sia minore di quello delle relative alternative riutilizzabili.

Pur non prevedendo un automatico utilizzo di plastiche biodegradabili e compostabili, di fatto si promuove e rende possibile tale alternativa (di materiale) a discapito di alternative riutilizzabili,e  quindi alternative di comportamenti. Infatti, prima ancora di un problema di materiali (plastiche fossili no/plastiche di origine vegetale sì) vi è un problema di eccesso di prodotti mono uso che andrebbero ripensati totalmente per essere riutilizzati. Un esempio sono le stoviglioteche.

Riduzioni al consumo e obiettivi di riciclo

La normativa, inoltre, prevede la riduzioni al consumo di taluni prodotti come contenitori per alimenti (destinati al consumo immediato) e tazze per bevande inclusi i relativi tappi e coperchi. Per altre tipologie di prodotti prevede, invece, il divieto di immissione sul mercato, precisamente per: bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, agitatori per bevande, aste a sostegno dei palloncini, contenitori per alimenti in polistirene espanso (destinati al consumo immediato) contenitori per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi, tazze per bevande in polistirene espanso e relativi tappi e coperchi, prodotti di plastica oxo-degradabile[1].

I contenitori per bevande con una capacità fino a tre litri, come le bottiglie, e relativi tappi e coperchi, possono essere immessi sul mercato solo se i tappi e i coperchi restano attaccati ai contenitori per la durata dell’uso previsto del prodotto, garantendo i requisiti di sicurezza dei sistemi di chiusura dei contenitori per bevande, compresi quelli per bevande gassose.

Le ulteriori importanti novità introdotte con la direttiva SUP riguardano l’obbligo di un contenuto minimo medio nazionale di materiale riciclato per le bottiglie in plastica (25% al 2025 per le bottiglie in PET con capacità fino a tre litri; 30% al 2030 per tutte le bottiglie per bevande con capacità fino a tre litri) e obiettivi di raccolta differenziata delle bottiglie in PET, rispetto all’immesso sul mercato (77% entro il 2025; 90% entro il 2029).

Nulla tuttavia si dice sulla necessità di ridurre l’immesso al consumo dei contenitori per bevande in PET, aspetto particolarmente rilevante per l’Italia, che dell’acqua minerale in bottiglia è il terzo paese al mondo per consumo dopo Messico e Thailandia, con un consumo nel 2019 relativo alle sole bottiglie in plastica, stimato in circa 10 miliardi di unità.

Per il raggiungimento dei predetti livelli di raccolta differenziata è prevista la possibilità di istituire sistemi di cauzione e rimborso o di obiettivi specifici per i sistemi di Responsabilità Estesa del Produttore (EPR). Viene, inoltre, istituito il regime EPR  per i filtri per prodotti a base di tabacco, palloncini, salviette umidificate e attrezzi da pesca. L’estensione della responsabilità sarà anche finanziaria per i produttori degli imballaggi: prevede, infatti, la definizione dei costi necessari per la rimozione dei relativi rifiuti dispersi nell’ambiente e per il successivo trasporto e trattamento.

Possibili soluzioni alternative per contrastare il monouso

  • Stoviglioteche.
  • Macchine per bevande con opzione erogazione bevanda senza bicchiere così che l’utente possa usare il proprio.
  • Incentivare politiche “riempi la borraccia” presso attività di ristorazione/somministrazione per moltiplicare i punti di accesso all’acqua potabile sul territorio nazionale.
  • Divieto di cessione gratuita dei contenitori monouso per la somministrazione di alimenti e bevande e l’obbligo di mettere a disposizione del consumatore contenitori riutilizzabili senza maggiori costi (fatta eccezione per l’eventuale cauzione).
  • Tassazione applicata a tutti gli articoli monouso collocati sul mercato nazionale, finalizzando parte del gettito al sostegno di progetti volti a favorire la diffusione e il consolidamento di alternative basate sull’impiego di prodotti riutilizzabili.


[1]Materie plastiche contenenti additivi che attraverso l’ossidazione comportano la frammentazione della materia plastica in microframmenti o la decomposizione chimica, Art. 3 Direttiva (UE) 2019/904

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Connessioni, limite, valore e felicità pubblica: le parole in gioco per un’economia circolare https://www.mercatocircolare.it/connessioni-limite-valore-e-felicita-pubblica-le-parole-in-gioco-per-uneconomia-circolare/ Mon, 13 Jun 2022 10:29:51 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=3063 Economia sociale, solidale, circolare. Finanza etica, verde o sostenibile. Perché dobbiamo utilizzare tutti questi aggettivi per qualificare un certo tipo di economia e finanza? non […]

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Economia sociale, solidale, circolare. Finanza etica, verde o sostenibile. Perché dobbiamo utilizzare tutti questi aggettivi per qualificare un certo tipo di economia e finanza? non basterebbe parlare di economia e finanza tout court?

È la domanda da cui siamo partiti giovedì 2 giugno al Festival Internazionale dell’Economia di Torino, dove abbiamo partecipato, all’interno della compagine di Torino Social Impact, al panel dal titolo La finanza che fa bene all’economia sociale insieme ad Andrea Limone, presidente di Permicro e a Davide Dal Maso di Avanzi, referente del progetto della Borsa sociale promossa da Torino Social Impact.

Noi di Mercato Circolare siamo stati chiamati a rappresentare l’universo delle imprese sociali e delle start up innovative a vocazione sociale che alimentano l’ecosistema di Torino Social Impact. Imprese che nascono per ri-occupare lo spazio economico in modo diverso: non per massimizzare il proprio profitto, ma per concorrere alla generazione della felicità pubblica, assumendo fino in fondo il concetto di limite in modo generativo.
All’interno di questo universo, Mercato Circolare è intervenuta in rappresentanza delle realtà socie e clienti di Banca Etica, il cui articolo 5 dello statuto (che a sua volta si rifà ai principi della finanza etica) postula la necessità di considerare le conseguenze non economiche dell’agire economico.

festival economia
Nadia Lambiase insieme ad Andrea Limone e Davide Dal Maso al Festival dell’Economia di Torino (foto Permicro)

Il nostro contributo si è focalizzato sul ruolo che l’economia circolare può avere nel contribuire a un cambio di paradigma.
Per prima cosa siamo partiti da una domanda, quella con cui si apre questo articolo, per offrire due sottolineature:
Non basta parlare di economia e finanza?

Evidentemente no, perché quando parliamo di economia immediatamente pensiamo a un’economia dove il protagonista è l’homo oeconomicus, soggetto adulto e maschio, che punta a massimizzare il proprio benessere, e le imprese sono soggetti economici il cui obiettivo è la massimizzazione del profitto. Quando parliamo di finanza, allora, l’unica metrica possibile è quella economica e monetaria.
Ed è normale che sia così, è la realtà in cui viviamo. Oppure no?
E se questa fosse solamente una delle possibili narrazioni dell’economia e della finanza e, di conseguenza, della società? Una visione parziale assunta a unica descrizione possibile del reale.

Ed ecco la prima sottolineatura: non esistono l’economia e la finanza come scienze naturali e immutabili, ma piuttosto il pensiero economico di uomini e (purtroppo ancora poche) donne che sono figli e figlie del loro tempo.
Qual è il pensiero che abbiamo sul mondo? Sugli essere umani e sui viventi? E sulle relazioni tra questi?
È a partire dalle visioni, immagini e parole che usiamo che discende una narrazione economica piuttosto che un’altra
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E veniamo alla seconda sottolineatura.
Aggiungere l’aggettivo circolare accanto alla parola economia, ci fa intuire che esiste anche un’economia che circolare non è. Quella lineare in cui siamo immersi, che considera la Terra come una riserva infinita di risorse che possono essere utilizzate a piacimento, contaminate, trasformate in beni e abbandonate come rifiuti inutili. È l’economia del cow boy e del far west a cui l’economista americano Kennet Boulding, nel 1966, contrapponeva l’economia dell’astronauta, per la quale la Terra in quanto sistema chiuso che scambia energia con l’esterno ma non materia, è da considerarsi alla stregua di una navicella spaziale: quello che si porta a bordo prima a poi finisce e i rifiuti prodotti si accumulano all’interno.
Dunque possiamo definire l’economia circolare come quel paradigma economico che punta a mantenere il valore materico ed energetico dei beni e delle risorse il più a lungo possibile all’interno dei cicli produttivi, riducendo l’utilizzo di materia vergine e la produzione di rifiuti.

Bene, ma questo descrive una dimensione puramente tecnica.
E la dimensione politica? Qual è obiettivo di fondo? Qual è lo sguardo che abbiamo sul mondo?

A questo punto bisogna precisare che non esiste una definizione unica di economia circolare. Basti pensare che uno studio del 2017 ha analizzato ben 114 definizioni. La maggior parte di queste considera l’economia circolare come una strategia per valorizzare meglio la materia e l’energia dove l’obiettivo continua a essere è la crescita economica.
Il problema della crescita infinita in un mondo chiuso e limitato non è tematizzato.

Si tratta di un’economia circolare tecnica, che continua a inserirsi nella narrazione main stream dell’economia lineare della crescita infinita.

C’è anche, però, un’economia circolare politica che può essere ben rappresentata dalla ciambella descritta dall’economista Kate Raworth in “L’economia della ciambella”. La ciambella raffigura due limiti ben chiari da non superare, quello esterno che corrisponde ai limiti planetari del nostro pianeta e quello interno che rappresenta il limite entro cui stare per condurre, tutti quanti una vita dignitosa. Lo spazio tra i due cerchi è quello in cui è possibile perseguire un benessere dinamico, equo, sicuro e duraturo per tutti i  viventi.

Ecco dunque la nostra definizione di economia circolare.

Una narrazione economica

  • che elegge la natura come maestra (punta a chiudere i cicli, riconosce che tutto è connesso e che la vita è segnata dal limite); 
  • che elegge il pensiero sistemico quale strategia per progettare modelli di business in grado di usare meno risorse vergini, di preservare il valore della materia e dell’energia nel tempo, di prediligere l’uso al possesso e di generare valore dallo scarto;
  • il cui fine è generare felicità pubblica, per la quale è necessario individuare e sperimentare nuovi e multidimensionali indicatori e metriche  per valutare e valorizzare il benessere di tutti gli esseri viventi, presenti e futuri.

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Responsabilità estesa del produttore nel settore tessile. Date, vincoli e nodi da risolvere in Italia. https://www.mercatocircolare.it/responsabilita-del-produttore-nel-settore-tessile/ Sat, 12 Feb 2022 14:15:05 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1957 Gli indirizzi dell’Unione Europea Nel marzo 2020 la Commissione europea ha elaborato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, che prevede l’adozione di una strategia dell’UE […]

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Gli indirizzi dell’Unione Europea

Nel marzo 2020 la Commissione europea ha elaborato un nuovo piano d’azione per l’economia circolare, che prevede l’adozione di una strategia dell’UE per il settore tessile, con l’obiettivo di promuovere un mercato dei prodotti tessili sostenibili e circolari, sviluppare nuovi modelli commerciali, sostenere l’innovazione e incentivare il riutilizzo nel settore.

Stiamo parlando di un settore che, come riporta il documento, da un punto di vista del consumo privato dei singoli nuclei famigliari dell’UE (vestiti, calzature e biancheria domestica) occupa la quarta posizione per quanto riguarda il consumo di materie prime e acqua – peggio solo il settore alimentare, i consumi domestici e i trasporti – e la quinta per quanto riguarda le emissioni di gas a effetto serra. Secondo un’indagine della Commissione europea, infatti, è responsabile del 10% delle emissioni globali di gas a effetto serra.

Per questo la Commissione europea, con la direttiva UE 2018/851, ha previsto che gli Stati membri si organizzino per raccogliere i rifiuti tessili  post consumo in maniera differenziata dal 1 gennaio del 2025. Un obbligo che l’Italia ha anticipato al 1 gennaio del 2022 con il decreto legislativo n.116. del 2020 (Art. 2).

La scelta dell’Italia

In realtà l’Italia non è del tutto sprovvista di un sistema di raccolta, recupero, riciclo e smaltimento di prodotti e rifiuti tessili post consumo in ambito urbano (abbigliamento, scarpe e accessori). In diversi Comuni, infatti, è già possibile trovare cassonetti dedicati alla raccolta di materiale tessile. Sono di proprietà di aziende (spesso cooperative, ma non solo) che lavorano in sinergia con ANCI (Associazione Nazionale dei Comuni Italiani), Unirau, (l’associazione delle aziende e delle cooperative che svolgono le attività di raccolta e valorizzazione della frazione tessile dei rifiuti urbani), o Rete ONU (Rete nazionale degli operatori dell’usato, al cui interno è presente anche il settore del riuso del tessile), di cui fa parte Humana People to People Onlus Italia.

Stando ai dati di Unicircular (2019) l’Italia dimostra una gestione del rifiuto tessile urbano apparentemente virtuosa: il 29% del totale viene destinato al riciclo industriale diventando imbottitura o strumento per la pulizia, oppure viene sfilacciato e recuperato come materia prima seconda per nuove stoffe. Il 68% è invece commercializzato per essere riutilizzato in mercati esteri e solo il 3% del totale raccolto tramite i cassonetti finisce effettivamente nell’indifferenziato in quanto irrecuperabile.

Ma cosa nasconde questo dato? Con l’aumento del fast fashion, che mette sul mercato abiti poco costosi e di bassa qualità, è notevolmente peggiorata la qualità media degli indumenti raccolti nei cassonetti. Di conseguenza “solo il 5-10% dei capi selezionati è adatto per il mercato europeo mentre la maggior parte vengono esportati, soprattutto in Africa dove ne arrivano così tanti da ingolfare le discariche di questi paesi” spiega Elena Ferrero di Atelier Riforma start up innovativa a vocazione sociale. L’Africa, infatti, è la destinazione di oltre il 70% dei capi d’abbigliamento e delle calzature che si buttano via nel mondo, la metà dei quali è inutilizzabile.

Cosa cambia con la nuova normativa?

Con l’entrata in vigore della nuova normativa qualsiasi oggetto di tessuto post consumo – sia gli indumenti che altri materiali tessili, come ad esempio la tappezzeria, le lenzuola, gli asciugamani – dovrà essere raccolto in maniera differenziata per legge. I Comuni e i gestori che non hanno ancora attivato questo servizio di raccolta dovranno realizzarlo quanto prima e regolamentarlo al meglio. Questo comporterà un aumento della presenza di frazioni non facilmente valorizzabili, con un possibile aumento dei costi di cernita e smaltimento che preoccupa non poco gli operatori del settore. 

Ecco, dunque, che vengono al pettine due nodi di questo provvedimento legislativo italiano che anticipa i tempi dell’obbligo dalla raccolta del rifiuto tessile post consumo di ben tre anni rispetto al panorama europeo, senza, peraltro, prevedere obiettivi minimi e tanto meno sanzioni.

Raccolta differenziata come fine o come mezzo? la soluzione innovativa di Atelier Riforma

Il primo nodo riguarda l’obbligo della raccolta differenziata senza una strutturata filiera di valorizzazione successiva. La raccolta differenziata infatti, è bene ricordarlo, è lo strumento, e non il fine, per un’adeguata valorizzazione del rifiuto. 

“Se da un lato, infatti, la raccolta differenziata è necessaria per far sì che tali rifiuti non finiscano direttamente in discarica, – sottolinea Elena Ferrero – dall’altro occorre adottare soluzioni per avviare gli indumenti a destinazioni circolari, anche diverse dalla vendita second-hand (rivendita ed esportazione), quali il riciclo meccanico/chimico della fibra e l’upcycling”.

Affinché questo avvenga sono necessarie tecnologie in grado di garantire un eccellente lavoro di selezione del materiale raccolto, che è altamente disomogeneo, e di un’efficace rete infrastrutturale di impianti in grado di recuperare materia dagli scarti tessili.

A questo proposito, la Missione 2 del PNRR (Rivoluzione verde e transizione ecologica) definisce gli incentivi per “linfrastrutturazione della raccolta delle frazioni di tessili pre-consumo e post-consumo, ammodernamento dell’impiantistica e realizzazione di nuovi impianti di riciclo delle frazioni tessili in ottica sistemica c.d. Textile Hubs”.  Facendo leva sulla distrettualità del settore della moda in Italia, dunque, il PNRR destina ben 150 milioni alla creazione di una filiera del tessile circolare e sistemica.

Tra le proposte che arriveranno al MiTe (e che possono essere presentate fino al 21 febbraio 2022) ci sarà anche quella del Comune di Prato, che nei giorni scorsi ha annunciato di avere dato vita a un protocollo d’intesa con l’obiettivo di insediare nel comune toscano il principale hub tessile nazionale e consolidare il ruolo del distretto pratese come polo tecnologico e operativo del riciclo tessile a livello europeo.
L’impianto in progetto fa uso della tecnologia Fibersort (risultato di un progetto Interreg North-West Europe) che impiega sensori ottici NIR capaci di riconoscere e differenziare i tessuti per tipologia di fibra tessile e colore, e permetterà di selezionare i rifiuti tessili pre e post consumo. 

Tuttavia, la spettroscopia NIR va a identificare solo colore e materiale, ed è quindi applicabile solo ai rifiuti tessili non riutilizzabili, da avviare al riciclo meccanico o chimico. In ottica di una maggiore ed efficace selezione, Atelier Riforma sta implementando una tecnologia ancora più innovativa, Re4Circular, che si basa sull’Intelligenza Artificiale per estrarre ulteriori dati dal capo come tipologia, marca, taglia, stagione o genere.

Il tratto innovativo della nostra tecnologia – aggiunge Elena Ferrero non è dato solo dal processo di smistamento, ma anche della processo di digitalizzazione: il capo, infatti, verrà digitalizzato e messo direttamente in vendita su un’apposita piattaforma al momento della catalogazione”.

La tecnologia sarà pronta da aprile 2022, mentre l’IA che permetterà la catalogazione automatica del capo attraverso il riconoscimento fotografico, verrà integrata nei mesi successivi.
Atelier Riforma è stata selezionata tra le realtà semifinaliste del Green Alley Award. C’è tempo fino al 15 febbraio per supportare questa start up italiana, a vocazione sociale, con il proprio voto.

Chi è il responsabile?

Veniamo allora al secondo nodo del provvedimento legislativo italiano che anticipa i tempi dell’obbligo dalla raccolta del rifiuto tessile post consumo rispetto alle scadenze europee. Su chi ricade l’obbligo della raccolta differenziata? Per ora sui Comuni e non sulle imprese produttrici dei prodotti tessili, le effettive responsabili del prodotto immesso sul mercato e destinato, prima o poi, a diventare un rifiuto. 

L’obbligo della sola raccolta differenziata dei rifiuti tessili porterà a ben poco senza una normativa adeguata che preveda incentivi economici e prepari la filiera a gestirli in modo circolare. Una possibile soluzione, prevista  dalla stessa strategia europea, è l’introduzione di un sistema di responsabilità estesa del produttore (EPR) già attivo in altri settori come imballaggi, pneumatici, batterie e dispositivi elettronici. 

Come si legge nella direttiva 2018/851, si tratta di “una serie di misure adottate dagli Stati membri volte ad assicurare che ai produttori di prodotti spetti la responsabilità finanziaria o quella finanziaria e operativa della gestione della fase del ciclo di vita in cui il prodotto diventa un rifiuto, incluse le operazioni di raccolta differenziata, di cernita e di trattamento. Tale obbligo può comprendere anche la responsabilità organizzativa e la responsabilità di contribuire alla prevenzione dei rifiuti e alla riutilizzabilità e riciclabilità dei prodotti”.

In altre parole si tratta di un meccanismo per cui chi inquina paga e che rende il produttore responsabile lungo tutto il ciclo di vita del prodotto, dalla progettazione, fino al ritiro e alla gestione del post uso e dunque al possibile riutilizzo o riciclo. Lo scopo è quello di penalizzare economicamente, e dunque disincentivare, la produzione di materiale tessile di scarsa qualità e non riciclabile o riutilizzabile.

Ma è un sistema che, per quanto riguarda il settore tessile, è ancora in attesa di un decreto attuativo da parte del Ministero della Transizione ecologica. Qui si giocherà una partita importante.
L’auspicio è che il Ministero della Transizione Ecologica garantisca un’adeguata fase di ascolto dei vari anelli e stakeholder della filiera, allo scopo di realizzare un decreto EPR  ad hoc, data la specificità della filiera.

Il 100% è un obiettivo raggiungibile?

L’Italia ha previsto l’obbligo di una raccolta differenziata del rifiuto tessile post consumo in anticipo di tre anni rispetto ai vincoli europei, senza tuttavia, essere dotata di un’adeguata infrastruttura di valorizzazione del rifiuto a valle della raccolta, e senza una normativa che riporti in capo ai produttori la responsabilità finanziaria  e organizzativa dell’intera filiera del rifiuto del tessile. 

In questo scenario, l’obiettivo del MiTe, grazie ai fondi PNRR sarebbe quello di recuperare il 100% dei rifiuti raccolti. Una soglia non solo poco credibile, ma neanche realistica, per due ragioni. 

In primo luogo perché è necessario considerare che una parte di scarti non ha le caratteristiche adatte al recupero. Quindi, a meno che non si prenda in considerazione la produzione e l’uso di combustibile solido secondario (CSS) per tutte le raccolte post consumo non destinabili alla preparazione per il riuso e agli utilizzi di ripiego, un recupero al 100% non è possibile.
In secondo luogo, senza una normativa EPR del tessile, i costi della catena – dalla raccolta alla selezione, fino all’avvio al riuso o alla destinazione di nuovi impieghi – sarebbero troppo alti, disincentivando investimenti nella sperimentazione di nuove forme di riutilizzo e riciclo che possano puntare ad avvicinarsi il più possibile alla chiusura del cerchio.

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I giganti del “Food&Beverage” e la corsa all’R-Pet https://www.mercatocircolare.it/i-giganti-del-foodbeverage-e-la-corsa-allr-pet/ Wed, 30 Jun 2021 10:36:11 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1773 Dalla Coca Cola alla Ferrarelle sono moltissime le iniziative lanciate dai colossi del Food&Beverage, tra i maggiori produttori di plastica al mondo, per produrre imballaggi […]

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Dalla Coca Cola alla Ferrarelle sono moltissime le iniziative lanciate dai colossi del Food&Beverage, tra i maggiori produttori di plastica al mondo, per produrre imballaggi con percentuali sempre maggiori di PET riciclato. Ma è una risposta sufficiente al problema dell’inquinamento da plastica?
Per capirlo proviamo a fare un passo indietro.

Quanta plastica produciamo

Secondo Plastics Europe (l’associazione europea dei produttori di materie plastiche), la produzione globale di plastica nel 2019 ha raggiunto i 368 milioni di tonnellate, di cui circa 57,9 (16%) prodotte in Europa. Mentre la domanda europea di materie plastiche è stata di 50,7 milioni di tonnellate, assorbita principalmente dall’industria degli imballaggi (39,6%), seguita dall’industria delle costruzioni (ca. 20,4%) e l’automotive (ca. 9,6%).

Tra i materiali polimerici, il PET (polietilene tereftalato) occupava, sempre nel 2019, il 7,9% del mercato europeo (circa 4 milioni di tonnellate), facendo di questo polimero il sesto per importanza (dopo PP, LDPE, HDPE, PVC e PUR).
Il PET viene principalmente utilizzato per la produzione di bottiglie e contenitori per bevande – come acqua, bibite gassate, o altre bevande e succhi – perché fornisce una buona barriera all’ossigeno, preserva le caratteristiche del liquido contenuto, e quindi garantisce criteri igenici e di sicurezza.

Breve storia del PET

Sul sito di Petcore Europe, (associazione che rappresenta l’intera catena del valore del PET in Europa, dalla produzione del PET alla conversione in imballaggio e riciclaggio, e altre attività correlate), si legge che il PET è stato sviluppato inizialmente dalla British Calico Printers nel 1941 per la fabbricazione di fibre sintetiche. Successivamente, intorno alla metà degli anni ‘60 il PET ha iniziato ad essere impiegato anche nel settore del packaging (film da imballaggio). Soltanto all’inizio degli anni ’70, è stata sviluppata commercialmente la tecnica per il soffiaggio di bottiglie ed è stato nel 1977 che la prima bottiglia in PET è stata riciclata e trasformata in una base per altre bottiglie.
Ancora oggi, nonostante il processo di riciclo “bottiglia in bottiglia” sia in crescita, il mercato della fibra è ancora il principale sbocco per il PET recuperato.

Secondo il Report PET Market in Europe: State of Play, nel 2018, delle 4,3 milioni di tonnellate di PET rigido immesso al consumo in Unione Europa, solo il 45% (1.9mt) è stato raccolto, una volta divenute rifiuto, e avviato successivamente al riciclo.

Sono tassi di raccolta e riciclo ancora bassi.
Per incentivare una miglior performance è intervenuta la legislazione europea con la Direttiva (UE) 2019/904 del 5 giugno 2019 sulla riduzione dell’incidenza di determinati prodotti di plastica sull’ambiente, la cosiddetta Direttiva Single Use Plastic (SUP). L’obiettivo SUP richiede che ogni Stato membro raggiunga un tasso di raccolta delle bottiglie per bevande del 77% entro il 2025 e del 90% entro 2029.

Verso il 100%

Il settore degli imballaggi in PET si sta già muovendo e attrezzando verso produzioni di imballaggi con alte percentuali di PET riciclato (rPET), fino anche al 100%.
Una direzione intrapresa anche dai colossi del Food&Beverage.

Coca-Cola, in Olanda e Norvegia, è passata a una produzione di bottiglie di piccolo taglio (nel 2020) e di grande taglio (2021) realizzate interamente con PET riciclato, dopo aver raggiunto lo stesso obiettivo in Svezia nel 2019. L’operazione è possibile grazie alla presenza, nei due paesi, di uno schema di deposito su cauzione delle bottiglie, che consente di recuperarle in un ciclo chiuso, agevolando così il processo di riciclo in ambito alimentare, dove è richiesta un’elevata qualità.

Anche sul mercato italiano, a partire dal settembre 2020 è possibile vedere bottiglie realizzate con il 50% di plastica riciclata.
Rimanendo nel contesto italiano, Ferrarelle SpA, quarto player nel mercato delle acque minerali nel Paese, ha presentato, in occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente 2021, INFINITA, la prima linea 100% in R-PET. Il lancio di INFINITA si inserisce all’interno del progetto bottle to bottle, reso possibile grazie allo stabilimento per il riciclo e la produzione di PET riciclato di Presenzano, in provincia di Caserta, che dal 2018, ogni anno, processa circa 20.000 tonnellate di bottiglie provenienti dalla raccolta differenziata.

Anche Levissima – che punta a raggiungere il 50% di PET riciclato all’interno di tutta la gamma entro il 2025 – ha lanciato nei mesi scorsi la sua linea in PET riciclato, 100% R-PET, nei formati da 0,75 e da 1lt.

Queste iniziative si inseriscono nella fase transitoria e sperimentale  dell’applicazione delle nuove norme in ambito di utilizzo di polietilene tereftalato riciclato a uso alimentare.
Infatti, la normativa vigente nel nostro Paese (Decreto Ministeriale 21/03/1973) stabilisce che le bottiglie e vaschette per alimenti in PET debbano contenere almeno il 50 per cento di PET vergine. Tuttavia, nella Legge 13/10/2020 n.126, che converte in legge il Decreto Legge 104 del 14/8/20, è stata prevista in via sperimentale, per il periodo 1° gennaio 2021 – 31 dicembre 2021, la produzione di bottiglie in plastica riciclata (rPet) al 100%.

In conclusione, incentivare l’utilizzo di materiale riciclato nella produzione di imballaggi va sicuramente nella direzione di supportare strategie di economia circolare ma non è sufficiente. Infatti, come suggerisce il report di Greenpeace “Il Pianeta usa e getta. Le false soluzioni delle multinazionali alla crisi dell’inquinamento da plastica, è necessario che, proprio chi immette sul mercato globale le più grandi quantità di plastica usa e getta, come le grandi multinazionali del Food&Beverage, abbia come primo obiettivo la riduzione della produzione di plastica monouso investendo in soluzioni complementari al riciclo, basate sul riutilizzo e sulla ricarica.

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Il nuovo piano d’azione per l’economia circolare in chiave pop https://www.mercatocircolare.it/economia-circolare-piano-azione/ Wed, 24 Feb 2021 18:32:02 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1532 Il 9 febbraio 2021, il Parlamento europeo ha approvato il testo de Il nuovo piano d’azione per l’economia circolare, rilasciato dalla Commissione europea il 11 […]

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Il 9 febbraio 2021, il Parlamento europeo ha approvato il testo de Il nuovo piano d’azione per l’economia circolare, rilasciato dalla Commissione europea il 11 marzo 2020, quasi un anno fa. Il testo, che ricordiamo è l’aggiornamento del primo piano d’azione rilasciato sempre dalla Commissione europea a dicembre del 2015,  è stato approvato con 574 voti favorevoli, 22 contrari e 95 astensioni.

Il piano d’azione Ue per l’economia circolare in uno sguardo

Il Piano si pone linea con l’obiettivo dell’UE di neutralità climatica entro il 2050 previsto dal Green Deal,  ed è incentrato sulla prevenzione dei rifiuti e sulla loro gestione ottimale. Inoltre intende la leadership globale dell’Ue nel settore dell’economia circolare. La Commissione intende agire contemporaneamente su due fronti: da un lato, prevenire la produzione di rifiuti e trasformarli in risorse secondarie di alta qualità; dall’altro, agire a monte, per impedire che prodotti non sostenibili entrino nel mercato europeo. 

L’azione a monte riguarda la progettazione dei prodotti, che dovranno essere pensati per durare, essere facilmente riutilizzabili, riparabili e riciclabili, e incorporare il più possibile materiale riciclato.  L’azione a valle riguarda invece i consumatori, che avranno accesso a informazioni affidabili sulla durata e riparabilità dei prodotti, lavorando perché si affermi il diritto alla riparazione.

La circolarità e la sostenibilità devono essere integrate in tutte le fasi della catena del valore per raggiungere un’economia completamente circolare: dalla progettazione alla produzione, fino al consumatore. Il piano d’azione della Commissione europea ha stabilito sette aree chiave, essenziali per raggiungere un’economia circolare: plastica; tessile; rifiuti elettronici; cibo e acqua; imballaggi; batterie e veicoli; edifici e costruzioni.

Le raccomandazioni del Parlamento

Nell’accogliere gli indirizzi del Piano, il Parlamento ha emanato una serie di raccomandazioni per far sì che quanto enunciato possa concretizzarsi nel prossimo futuro.

In generale, secondo gli eurodeputati, sono necessari misure più stringenti affinché l’economia dell’Unione europea  sia sempre più sostenibile e punti in maniera credibile a eliminare le sostanze tossiche, ad allungare la vita dei prodotti, a valorizzare le  materie prime seconde e a sperimentare nuovi modelli di business.

In particolare, gli eurodeputati hanno esortato la Commissione a introdurre entro il 2021 indicatori di circolarità uniformi, coerenti con le metodologie di valutazione del ciclo di vita e di contabilizzazione del capitale naturale, da applicare in tutte le politiche dell’Unione, negli strumenti finanziari e nelle iniziative di regolamentazione.

Per quanto riguarda la valorizzazione delle materie prime seconde, gli eurodeputati hanno indicano la necessità di proporre obiettivi vincolanti relativi al contenuto riciclato specifici per prodotto e/o per settore, garantendo nel contempo le prestazioni e la sicurezza dei prodotti in questione e che essi siano progettati fin dall’inizio per il riciclaggio.

Inoltre il Parlamento europeo esorta la Commissione a presentare una nuova legislazione nel 2021 che estenda l’ambito di applicazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile anche a prodotti non legati all’energia. Ciò dovrebbe stabilire delle norme specifiche in modo che i prodotti immessi sul mercato dell’Ue forniscano prestazioni, durabilità, riutilizzabilità, riparabilità, non tossicità, possibilità di miglioramento, riciclabilità, contenuto riciclato ed efficienza dal punto di vista energetico.

Un piano d’azione che sia per tutti

Affinché documenti così importanti che riguardano il futuro di tutti noi (cittadini, consumatori, produttori e imprenditori, attori della società civile e amministratori) arrivino a tutti, il team di Mercato Circolare ha pensato di elaborare un format inedito Dentro al cappello, per poter raggiungere il più alto numero possibile di lettori, e fare in modo che tali documenti non rimangano dominio solo degli addetti ai lavori.

Attraverso un accurato lavoro di analisi in ottica divulgativa, Mercato Circolare propone il testo integrale del Piano rivisitato in chiave pop, grazie una grafica piacevole e intuitiva, invitando tutti alla lettura e a una presa di posizione in prima persona.

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Soseaty e Ogyre: dal problema della plastica in mare ai costumi da bagno circolari https://www.mercatocircolare.it/dalla-plastica-riciclata-ai-costumi-da-bagno-circolari/ Thu, 19 Nov 2020 13:19:37 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1118 Provare a rispondere a uno dei problemi ambientali che maggiormente sono sotto l’attenzione dei media in questi anni, l’inquinamento di plastica dei nostri mari, con […]

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Provare a rispondere a uno dei problemi ambientali che maggiormente sono sotto l’attenzione dei media in questi anni, l’inquinamento di plastica dei nostri mari, con un’attenzione anche alla comunità e al territorio.
E’ la proposta di valore offerta da due giovani start up italiane, attori dell’economia circolare, che nascono con una forte vocazione sociale essendo entrambe società benefit. Dichiarano per statuto, cioè, che hanno a cuore l’impatto che generano. Quindi progettano le loro azioni e prodotti perché questo impatto sia positivo e generativo.

In che modo? Producendo costumi da bagno a partire da filato sintetico riciclato realizzato anche con la plastica recuperata nei mari.

Si tratta della vicentina Soseaty e della genovese Ogyre. La cosa che accomuna le due imprese è l’attenzione alla filiera e all’accurata scelta dei fornitori della materia prima con cui realizzare i propri capi, in entrambi i casi rigorosamente prodotti in Italia.

I fornitori del filato riciclato purtroppo non sono realtà italiane, ma spagnole, portoghesi o francesi, perché in quei paesi i pescatori che recuperano plastica in mare, la possono portare a terra senza dover pagare. In Italia, invece, chi recupera rifiuti in mare  viene ancora considerato responsabile del danno e quindi deve pagare per lo smaltimento, perché purtroppo ad oggi la Legge Salva Mare, che era stata presentata a fine 2019 è stata bloccata dalle vicende Covid.

SOSEATY collective  

Si scrive Soseaty, e con un gioco di parole tra “sos” e “sea”, si legge come “società” in inglese. L’impresa nasce nel 2019 da un’idea di Simone Scodellaro e Alberto Bressan, già accomunati da un’esperienza lavorativa precedente per un grosso brand di abbigliamento americano.

La primissima collezione è nata estiva, proponendo costumi da bagno maschili e femminili, ma già stanno sperimentando una mini capsule invernale.

L’attenzione di Soseaty verso una dimensione di circolarità a tutto tondo non si ferma alla sola scelta di privilegiare materia prima seconda (tessuto realizzato da plastica riciclata)  per la realizzazione delle proprie produzioni. Ma prosegue anche nelle scelte fatte per quel che riguarda il loro servizio di logistica fino al tentativo di provare a chiudere in qualche modo il cerchio.

Grazie al partner logistico selezionato, per ogni tonnellata di Co2 prodotta dalle spedizioni dei loro capi, viene ridotta una quantità equivalente di Co2 attraverso un progetto certificato (Natural Capital Partners). Inoltre utilizzano imballaggi secondari realizzati almeno per il 90%in cartone riciclato e shipping bags biodegradabili e compostabili.

Infine, hanno ideato un originale sistema che punta a chiudere il cerchio. Si chiama Re3. Si tratta, al momento dell’acquisto on line, della possibilità di spedire loro un capo usato equivalente a quello comprato (es. costume per costume, maglietta per maglietta) e in cambio ottenere uno sconto del 20% sullo stesso acquisto. Dal momento che loro non sono autorizzati a trattare i capi usati, hanno sviluppato una partnership insieme alla Cooperativa Sociale Insieme di Vicenza a cui inviano i capi. La cooperativa fa una cernita per valutare cosa rivendere nei propri negozi e cosa donare a persone in difficoltà.Se non è possibile recuperare i capi in altro modo, li inviano all’azienda di Trento Eurotexfilati s.p.a, che provvede a riciclarli.

E gliacquirenti sembrano gradire questa iniziativa: Simone Scodellaro dice che circa il 50% delle persone che hanno acquistato sul sito hanno usufruito del modello che, aggiunge, dalla prossima stagione sarà anche implementato nei negozi/rivenditori.

I prodotti Soeseaty sono realizzati in plastica riciclata

OGYRE

Doveva chiamarsi Endless, in nome della plastica senza fine che Antonio Augeri, insieme ad altri amici surfisti hanno trovato sulle coste oceaniche del Marocco. Hanno poi deciso di chiamare la società Ogyre che sta per Ocean Gyres, le correnti vorticose dell’oceano che agglomerano incessantemente i detriti di plastica e non solo, formando vere e proprie chiazze giganti di rifiuti nei mari. 

Antonio lavora già da tempo nel settore abbigliamento/costumi avendo avviato un marchio proprio che poi ha venduto nel 2019 per realizzare qualcosa più vicino ai suoi valori.

Così a febbraio 2020 fonda con altri amici Ogyre, con l’idea, non di creare un ennesimo brand di moda legato a tendenze momentanee, ma di instaurare una nuova filosofia di produzione e consumo nel mondo dell’abbigliamento, dove centrale è il rapporto e il coinvolgimento con il cliente che non è solo consumatore ma vero attore protagonista nel determinare possibili cambiamenti. 

Infatti, in maniera chiara sul sito viene riportato che l’acquisto di un costume da bagno da uomo corrisponde alla valorizzazione di 6 bottiglie di plastica riciclate e trasformate in filato, e contribuisce all’attività di raccolta e pulizia delle spiagge da parte di diverse ong, a cui Ogyre corrisponde parte del ricavato per l’equivalente di 2 kg di plastica raccolta. 

Inoltre, a proposito di coinvolgimento, Ogyre propone al suo pubblico, sia che faccia acquisti sia che non li faccia, di “sporcarsi le mani” con loro, aiutandoli nelle periodiche campagna di pulizia delle spiagge genovesi. In futuro intendono attivare delle collaborazioni con altri soggetti sparsi per le coste italiane con cui poter co-organizzare campagne diffuse di pulizia delle spiagge.

E’ chiaro che la presenza di realtà come Soseaty e Ogyre  non basta per far dire che la presenza di  plastica in mare non è più un problema. Rimane tale e bisogna agire in maniera collettiva istituzioni, imprese e cittadini) perché questo problema venga eliminato alla fonte.

Intanto, però, è necessario gestire questi rifiuti (malamente dispersi nell’ambiente) che, come abbiamo visto, se adeguatamente recuperati, possono intelligentemente diventare input per una nuova filiera produttiva.

Acquistare un costume da bagno da Ogyre corrisponde alla valorizzazione di 6 bottiglie di plastica riciclata

Per approfondire

Soseaty e Ogyre sono state ospiti della puntata del 18 novembre del Blue Revolution Talk Show organizzato da Mercato Circolare insieme a Pop Economix, Becco Giallo Editore e Ecco – Economie Circolari.

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