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Di cosa parliamo quando parliamo di comunità energetiche rinnovabili?

Una comunità energetica rinnovabile (CER) è un insieme di soggetti – possono essere persone fisiche, ma anche piccole e medie imprese, enti territoriali e amministrazioni locali – che decidono di aggregarsi con l’obiettivo di produrre, scambiare e consumare energia proveniente da fonti rinnovabili su scala locale. Per farlo è necessario che uno o più membri della comunità possiedano o abbiano la disponibilità di uno o più impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, in modo da permettere l’autoproduzione di energia elettrica per coprire in parte o del tutto i consumi dei membri della CER. In particolare, l’energia che viene autoprodotta e consumata, dà diritto a degli incentivi che possono essere redistribuiti tra i membri della comunità energetica o investiti in attività locali ad impatto sociale, in base a quanto è stato deciso e stabilito nel regolamento della CER.

Il percorso di costituzione di una CER può variare in base ai soggetti promotori dell’iniziativa, alle caratteristiche del territorio in cui si sviluppa, agli obiettivi principali che la comunità si propone di perseguire.
In ogni caso, sicuramente il processo prevede: l’analisi dei possibili aderenti, verificando che si trovino all’interno del perimetro afferente alla stessa cabina primaria (dato che può essere reperito qui); il calcolo dei consumi di energia dei vari membri in modo da dimensionare l’impianto e redigere uno studio di fattibilità tecnico-economica; la scelta della forma giuridica e la definizione dei ruoli dei membri; la scrittura dello statuto e/o del regolamento della CER in cui viene indicato anche come i membri decidono di redistribuire gli incentivi.

L’attuazione di iniziative a favore della costituzione di comunità energetiche rinnovabili (CER) nasce a partire dal recepimento di direttive europee legate alla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, in particolare la così detta “RED II” (Direttiva (UE) 2018/2001)
Questa direttiva ha come scopo principale l’aumento della quota dell’energia prodotta da fonti rinnovabili nell’Unione Europea e l’incremento del coinvolgimento da parte dei cittadini verso i progetti di nuovi impianti rinnovabili.

L’accezione della CER recepita dalla legislazione italiana è contenuta nel decreto legislativo 8 novembre 2021, n.199, che descrive la comunità energetica come un soggetto di diritto autonomo che può essere composto da persone fisiche, piccole e medie imprese, enti territoriali e autorità locali, incluse le amministrazioni comunali, gli enti di ricerca e formazione, gli enti religiosi, gli enti del terzo settore e di protezione ambientale”. Inoltre, viene delineato l’obiettivo principale delle CER, che è “quello di fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità ai suoi membri o alle aree locali in cui opera la comunità e non quello di realizzare profitti finanziari”. La CER permette un autoconsumo diffuso, senza dover costruire nuove reti private e permettendo a ciascun membro di mantenere il proprio contratto di fornitura, oltre a dare diritto agli incentivi, redistribuiti in base al regolamento della CER stessa.

Oltre all’obiettivo di autoprodurre e condividere l’energia prodotta dai propri impianti, la CER può anche erogare i seguenti servizi:

  • efficienza energetica;
  • servizi di ricarica di veicoli elettrici;
  • servizi di vendita al dettaglio dell’energia elettrica;
  • servizi ancillari di rete e di flessibilità (della domanda e della produzione).

Se da un lato quindi i vantaggi ambientali ed economici sono facilmente intuibili, citiamo, ad esempio, la riduzione delle emissioni di CO2 dovute alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, il contributo alla transizione energetica, la riduzione dei costi di trasporto e di dispersione dell’energia e, nel lungo periodo, il risparmio in bolletta per i membri e la redistribuzione dei benefici economici derivanti dagli incentivi.

Il grande potere innovativo è contenuto nei vantaggi sociali delle CER, essendo un modello collaborativo che permette di coinvolgere in maniera diretta le comunità locali, permettendo di avere un ruolo chiave nelle dinamiche sociali che va oltre la produzione di energia pulita. Possono, infatti, essere definite delle vere e proprie innovazioni sociali, ovvero “nuove idee (prodotti, servizi e modelli) che allo stesso tempo soddisfano bisogni sociali (più efficacemente delle alternative) e creano nuove relazioni sociali e collaborazioni. In altre parole, sono innovazioni che non solo sono buone per la società ma che rafforzano la capacità della società di agire” (“Empowering people, driving change” BEPA, 2011).
Il processo di costituzione delle CER è di per sé un percorso di governance partecipata, in cui attori diversi, tra cui cittadini/e, imprese, pubbliche amministrazioni, sono in una posizione paritaria tra loro, permettendo così di rafforzare un rapporto di fiducia e di cooperazione lungo il processo di promozione della crescita sostenibile dell’intero sistema. Oltre a questo, le CER possono essere potenti strumenti di mitigazione della povertà energetica. A tal fine, nella composizione dell’aggregato dei membri in fase di progettazione, particolare attenzione può essere posta dai promotori nell’inclusione di soggetti non in grado di soddisfare i propri bisogni energetici primari. Infine, la possibilità di utilizzare i proventi, derivanti dal sistema di incentivazione, nella promozione di servizi ad alto valore sociale sul territorio, le caratterizza come potenziali strumenti ad alto impatto sociale.

Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali

Focalizzandosi sui benefici sociali delle CER, non si può non citare la definizione fornita da Legambiente di Comunità Energetiche Rinnovabili e Solidali (CERS), tratta dalla sua “Guida pratica allo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili e solidali e all’autoconsumo collettivo”. Si tratta di “una speciale categoria di comunità energetiche, che possono essere sviluppate in qualsiasi realtà, dai piccoli comuni ai super condomini, dalle periferie urbane ai parchi, con lo specifico obiettivo di portare oltre ai benefici ambientali anche quelli sociali”. Con CERS si fa riferimento a comunità energetiche “dedicate ai soggetti e ai territori più in difficoltà: famiglie, imprese, scuole, periferie, piccoli comuni, territori rurali”. La CERS può quindi “non solo essere occasione di innovazione tecnologica e di lotta all’emergenza climatica, ma rappresentare anche una chiave per combattere disuguaglianze, povertà energetica e per offrire occasioni di sviluppo grazie ad interventi strutturali non assistenziali che favoriscano l’agire collettivo, le realtà locali e la nascita di nuove figure professionali”.

L’esperienza di CERTo

Due workshop organizzati a febbraio 2023, e guidati dal Settore Studi della Camera di commercio di Torino hanno fatto emergere l’esigenza di creare un modello sperimentale di CER nel contesto torinese, attraverso la sperimentazione di un progetto pilota con le caratteristiche di replicabilità, coinvolgimento e sensibilizzazione ed attivazione di un modello di governance partecipata. È nato così CERTo (Comunità Energetiche Rinnovabili Torino), di cui la Camera di commercio di Torino ha assunto il ruolo di coordinatore e facilitatore, in collaborazione con l’Energy Center del Politecnico di Torino, il Consorzio Univer e la Fondazione LINKS.

Nell’ambito del progetto sono state individuate due aree di interesse – una nell’area urbana, Monterosa, nel quartiere Barriera di Milano a Torino, e una in quella metropolitana, il Canavese -, in cui sono presenti le precondizioni per realizzare una CER-P (comunità energetica rinnovabile a cabina primaria) ed avviare sperimentazioni. Al momento sono stati raccolti i dati necessari per l’avvio delle due sperimentazioni e le manifestazioni di interesse da parte dei soggetti dei due territori interessati ad essere coinvolti nella sperimentazione.

Per il futuro il progetto CERTo, aspira a: offrire soluzioni sistemiche per la realizzazione di CER nelle aree urbane, attraverso l’attivazione di una CET (Comunità Energetica del Territorio); creare un ecosistema urbano attrattivo per investitori pubblici e privati; definire nuovi modelli di business sostenibili su scala urbana; creare sinergie tra le CER e la mobilità elettrica; definire i requisiti della piattaforma necessaria alla gestione smart della complessità energetica dell’ecosistema urbano.

CERTo è una delle azioni che fanno capo alla Camera di commercio di Torino, soggetto attuatore, insieme alla Città di Torino e a Torino Social Impact, del progetto europeo Respondet, che ha portato alla redazione di un Local Action Plan sull’economia circolare e sulle comunità energetiche.

Fonti

  • Unioncamere, Dintec (2023), “Piccole e Medie Imprese, grandi energie. Guida alle Comunità energetiche rinnovabili
  • Legambiente (2022), “Guida pratica allo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili e solidali e all’autoconsumo collettivo”
  • Avellini, E. Cabria, N. Pellitteri, D. (2023), “Comunità energetiche. Guida per un modello di sviluppo sostenibile e solidale”
  • Camera di commercio di Torino, in collaborazione con Energy Center del Politecnico di Torino, Fondazione LINKS, (luglio, 2023). “Progetto CERTo. Risultati della prima fase del progetto”.

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La buona pratica degli Orti Condivisi https://www.mercatocircolare.it/la-buona-pratica-degli-orti-condivisi/ Fri, 12 Feb 2021 12:22:11 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1467 Una nuova realtà che si sta sviluppando in Italia è quella degli orti condivisi, progetti di agricoltura urbana che favoriscono la riqualificazione delle aree verdi […]

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Una nuova realtà che si sta sviluppando in Italia è quella degli orti condivisi, progetti di agricoltura urbana che favoriscono la riqualificazione delle aree verdi cittadine. Un’analisi ISTAT del 2017 ha registrato un’espansione degli orti urbani, una tipologia di orti condivisi, del +4%; una copertura di quasi 2 milioni di metri quadri di superficie in 77 capoluoghi italiani. È qui che si trova oltre il 50% della superficie coltivata.

L’idea è quella di promuovere modelli di coltivazione e stili alimentari sostenibili attraverso l’uso di spazi pubblici, privati, aree verdi o terreni. In questi luoghi chi è interessato, anche se non direttamente proprietario di un giardino o un campo in cui far crescere le proprie piante, ha la possibilità di esprimere e condividere la propria passione per l’agricoltura.

Gli orti condivisi, quindi, riuniscono gruppi eterogenei di persone permettendo loro non solo di coltivare i propri prodotti ma di creare anche un luogo di aggregazione e scambio culturale in cui far nascere nuove relazioni sociali.

Per partecipare solitamente o si paga una quota per l’affitto del terreno o si ottiene un appezzamento di terra gratuitamente in cambio di manutenzione ordinaria del luogo.

Sempre i dati Istat, secondo un’analisi Coldiretti del 2019, indicano che quasi un italiano su due (46,2%) si dedica alla coltivazione in proprio, negli orti o sui terrazzi o nei giardini condivisi. Sembra che la coltivazione amatoriale abbia assunto un ruolo sociale importante nell’ambito cittadino.

Esistono vari tipi di orti condivisi come ad esempio gli orti aziendali promossi da piccole associazioni o aziende. Lo scopo è di far raggiungere ai dipendenti benefici fisici e psicologici per combattere lo stress lavorativo e perché no, aumentare la loro produttività grazie al positivo contatto con la natura.  Poi si hanno gli orti didattici promossi dalle scuole, in cui a lezioni teoriche sull’importanza della natura, tecniche di coltivazione e rispetto dell’ambiente si affiancano dei laboratori; gli alunni coltivano le proprie piante apprendendo i cicli di crescita e la stagionalità dei lavori da fare in agricoltura.
Un esempio di orto didattico è “Orto in Condotta” promosso da Slow Food il quale ha creato una vera e propria comunità tra alunni, genitori, insegnanti e produttori locali con il fine di promuovere un’educazione ambientale e alimentare. Infine, gli orti comunali sono aree concesse al pubblico utilizzo attraverso un bando pubblico.

Gli orti condivisi grazie alla presenza giornaliera di persone che si prendono cura di questi luoghi hanno un’importante funzione nel prevenire il degrado delle aree periferiche.  Per questo le amministrazioni offrono anche corsi che affiancano gli “ortisti” nel primo anno di lavoro per lo sviluppo di questa buona pratica. 

L’app Mercato Circolare raccoglie alcune delle realtà più interessanti che svolgono questa buona pratica.

Ad esempio è nata a Roma, nell’estate del 2017, la società cooperativa agricola Orto 2.0 in risposta ad uno dei problemi principali del settore agroalimentare: ottenere una certificazione reale su provenienza, metodo di coltivazione e freschezza dei prodotti orticoli. Attraverso uno smartphone, ogni utente può creare il suo orto virtuale di 50 metri quadrati, personalizzando 8 file di coltivazione con diverse varietà di ortaggi stagionali. Il team di Orto 2.0 si occupa di tutta la fase di coltivazione, dalla semina alla raccolta, aggiornando attraverso delle notifiche l’utente che potrà concordare modalità e orari di ritiro sul posto o di consegna direttamente a casa.

Ogni utente infatti può prendere parte al processo produttivo quando vuole, avvicinandosi al mondo dell’agricoltura e della natura. Per chi invece non ha tempo a disposizione, ma vuole accedere comunque a questo modello, il servizio base offerto dalla cooperativa copre qualsiasi tipo di mansione nell’orto e viene garantito inoltre, un servizio premium ultra rapido, che punta a ridurre al minimo le tempistiche di raccolta.

Le coltivazioni sono naturali, vengono fatte ottimizzando e chiudendo i cicli delle risorse a disposizione, creando macerati con scarti naturali utili per combattere gli attacchi patogeni.

Tramite il know-how conferito dal Dipartimento di Biologia di Tor Vergata, Orto 2.0 si impegna, infine, ad applicare appieno tutti i principi dell’agricoltura naturale.

Si ha poi l’associazione Terre Colte, la quale recupera terre incolte e abbandonate stimolando l’autoproduzione alimentare attraverso l’agricoltura sociale e l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La prima esperienza è nata nel 2012 in provincia di Cagliari dal recupero di un terreno di circa 3000 mq incolto e abbandonato in una residenza di campagna.

Trasformato in un orto condiviso, in meno di un anno più della metà dei 40 lotti da 50 metri quadrati erano stati occupati. Da quest’esperienza, subito replicata in altre realtà, è nata nel 2014 l’Associazione Terre Colte, affiancando al progetto degli orti condivisi – appezzamenti da 50 metri quadrati in terreni privati messi a disposizione dai proprietari – i progetti di adozione nelle nuove sedi agricole associate.

Oggi i soci di Terre Colte, oltre a coltivare direttamente il proprio orto, possono supportare le produzioni di altri soci, prenotando una parte della produzione e, tramite laboratori collettivi, imparare i segreti del mestiere. Al momento Terre Colte ha oltre 1000 soci e sedi a San Sperate, Decimomannu, Assemini, Dolianova e Senorbi, in provincia di Cagliari, e a Tramatza, in provincia di Oristano.

Infine, Orti Generali nasce nel marzo 2019 in un parco sulle rive del torrente Sangone, nel quartiere Mirafiori Sud a Torino. Il parco, che si trovava in stato di abbandono, oggi conta più di 160 orti urbani aperto a cittadini e visitatori.

Chi ha un orto può autoprodurre il suo cibo e chi ama la natura e i temi dell’orticoltura può seguire i corsi di formazione, attività e laboratori per tutte le età. Completano l’area di 3 ettari di riqualificazione urbana la city farm, orti collettivi, orto didattico e sinergico, un apiario e un chiosco, serre per l’autoproduzione e per ospitare i corsi.

Nel parco si coltiva esclusivamente con metodo biologico. Nell’area sono state reintrodotti alberi di varietà antiche, con una speciale attenzione alle piante che favoriscono la ripopolazione di insetti impollinatori, all’interno del progetto internazionale proGIreg.

Inoltre, sperimenta la tecnologia al servizio dell’ambiente: per ridurre lo spreco di acqua, una centralina rileva meteo, umidità, temperatura locali, e aziona all’occorrenza un impianto di irrigazione centralizzato per tutti gli orti.

Sono attive anche borse lavoro e tirocini formativi, in particolare per soggetti svantaggiati. In collaborazione con l’ASL e con associazioni, realizzano percorsi riabilitativi e di ortoterapia. Le eccedenze dell’orto collettivo vengono donate alla rete Mirafiori Quartiere a Spreco Zero.

Il sito web dell’orto è opensource con i parametri meteo della centralina, il calendario delle colture, schede delle piante, fitopatie e alert per avvisare quando è il momento di trattamenti biologici preventivi.

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Agricoltura sociale: mettere in campo risorse e relazioni https://www.mercatocircolare.it/agricoltura-sociale/ Sat, 21 Nov 2020 20:21:08 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1164 Prendete la parola agricoltura e aggiungete l’aggettivo sociale, cosa ne viene fuori? Un bel connubio tutto da approfondire. Il concetto di agricoltura sociale, è così […]

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Prendete la parola agricoltura e aggiungete l’aggettivo sociale, cosa ne viene fuori? Un bel connubio tutto da approfondire.

Il concetto di agricoltura sociale, è così ampio e recente che non esiste una definizione univoca: possiamo dire che è un’attività che intreccia l’utilizzo delle risorse della terra, attraverso processi produttivi a basso o nullo impatto ambientale, con la valorizzazione e l’inclusione delle persone a rischio di esclusione sociale.  Ma non è solo questo, è molto di più: si tratta di una prassi di sviluppo locale che parte dal concetto di multifunzionalità dell’agricoltura e che offre un’ampia gamma di servizi finalizzata al benessere dell’intera comunità.

Il termine agricoltura sociale nasce alla fine degli anni Novanta in Olanda per indicare un nuovo modello di agricoltura, in cui i frutti raccolti non sono solo quelli concreti nati dalla terra, ma anche i benefici che l’atto di prendersi cura della terra genera per la salute mentale e fisica delle persone coinvolte e della comunità. 

E la cosa bella è che per fare agricoltura sociale basta avere alcuni ingredienti fondamentali: un terreno e il desiderio e l’impegno di valorizzare le persone e l’ambiente. Nella pluralità di esperienze nate fino ad ora, che in Italia si attestano a circa mille, non ci si può riferire ad un unico modello, possiamo infatti contare esempi avviati da soggetti diversi, come ad esempio aziende agricole, cooperative sociali, comunità terapeutiche; attività svolte diversificate come ad esempio attività agricole, di floricoltura, di riabilitazione all’interno di ospedali psichiatrici e ancora, destinate a diverse tipologie di beneficiari, come ad esempio migranti, pazienti psichiatrici, detenuti, ex-detenuti.

Non solo, l’intera comunità può trarre vantaggi da questo nuovo modello: ne beneficiano i lavoratori svantaggiati, attraverso l’inserimento nel mondo del lavoro e l’apprendimento di nuove mansioni che comprendono, talvolta, un reddito percepito, e ne beneficia la comunità locale, grazie a una maggiore opportunità occupazionale che migliora la qualità della vita e dell’ambiente nelle aree rurali.

L’app di Mercato Circolare raccoglie alcune di queste attività agricole dislocate nel territorio nazionale. Qui di seguito vogliamo raccontare alcuni esempi.

Cosepbio, progetto di agricoltura biologica della Cooperativa sociale Cosep di Padova, coinvolge persone a rischio di esclusione sociale lungo tutte le fasi della produzione, dalle attività in pieno campo alla preparazione e consegna delle cassette di verdura. Promuove il valore del cibo buono e sano, quello della persona e della comunità inclusiva nata attorno ad esso. Si coltivano prevalentemente ortaggi, ma anche frutta e cereali, che vengono poi distribuiti in città attraverso alcuni gruppi di acquisto, stimolando un percorso a stretto contatto con i “consumattori”, i quali attraverso un acquisto consapevole diventano attori di un cambiamento. 

Il progetto “rAccogliamo” nasce proprio per offrire percorsi di inserimento lavorativo a disoccupati e inoccupati nei vari ambiti del settore agroalimentare. Nato nel comune di Solero, in provincia di Alessandria,  il progetto ha come sottotitolo “agricoltura biosociale”, come a voler rafforzare l’interrelazione tra uomo e natura. Attraverso attività di orticoltura, apicoltura, lombricoltura, gli utenti hanno la possibilità di creare una micro-impresa agricola, il tutto nel rispetto del terreno, seguendo la rotazione delle colture e la stagionalità degli ortaggi, biologici e OGM free.

Inoltre, sono nate in questo contesto associazioni come Terre Colte, che recupera terreni abbandonati nel territorio sardo e, attraverso l’inclusione di persone svantaggiate, li trasforma in orti condivisi.
I soci di Terre Colte, oltre a coltivare direttamente il proprio orto, supportano le produzioni di altri soci, prenotando una parte della produzione. Tramite laboratori collettivi, inoltre, insegnano i segreti del mestiere.

Infine, EtaBeta, una Cooperativa sociale di Bologna che offre molti servizi per la comunità. Tra questi troviamo EtaBetaBio, che contribuisce alla creazione di nuovi posti di lavoro destinati a persone in situazione di disagio, grazie alla coltivazione di ortaggi e di cereali. EtaBetaBio infatti dispone di 4 ettari di terreno agricolo destinati alla coltivazione e all’agricoltura sociale. Su questo terreno sorge la casa colonica Zanardi, dotata di un laboratorio di cucina, di aule didattiche e una biblioteca. Qui Eta Beta organizza eventi, incontri e dibattiti aperti per coinvolgere in maniera attiva i cittadini.

Quindi, l’agricoltura diventa una vera risorsa e un bene comune per la comunità, per trasmettere saperi e tradizioni, promuovere stili di vita incontaminati, valorizzare il patrimonio culturale e molto altro ancora che non sappiamo, lasciamo che siano le esperienze future a dircelo.

Abbiamo parlato di Agricoltura Sociale anche qui, nel nostro format Spuntini Circolari

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