emissioni Archives - Mercato Circolare https://www.mercatocircolare.it/tag/emissioni/ l'economia che gira bene Fri, 13 Aug 2021 12:49:23 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=6.4.4 https://www.mercatocircolare.it/wp-content/uploads/2020/03/cropped-Temp_IconaLogoMC2020_bluDark-32x32.png emissioni Archives - Mercato Circolare https://www.mercatocircolare.it/tag/emissioni/ 32 32 Il cibo del futuro: quali alternative per il benessere del pianeta? https://www.mercatocircolare.it/il-cibo-del-futuro-quali-alternative-per-il-benessere-del-pianeta/ Thu, 12 Aug 2021 16:46:20 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1800 Diventeremo tutti vegetariani? Gli insetti sono il cibo del futuro? domanda di GG su Conversation Community Mangiare è un’attività che riguarda da vicino ognuno di […]

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Diventeremo tutti vegetariani?
Gli insetti sono il cibo del futuro?

domanda di GG su Conversation Community

Mangiare è un’attività che riguarda da vicino ognuno di noi: ogni giorno per più volte al giorno scegliamo cosa mettere nel nostro piatto.

Come sappiamo, tutte le nostre scelte hanno un impatto ambientale e quello che mangiamo non è esente da tutto ciò. Tra le tante alternative però, ci sono alimenti che incidono maggiormente sull’ambiente.
Il consumo di carne, ad esempio, è tra questi.

L’eccessivo consumo di carne

Negli ultimi 60 anni il consumo di carne è cresciuto molto rapidamente: la quantità di carne prodotta è oggi quasi cinque volte maggiore di quella dei primi anni ’60: siamo passati da 70 milioni di tonnellate a quasi 340 milioni di tonnellate nel 2020. Un tale incremento è dovuto non solo alla crescita della popolazione, ma anche a quella del reddito medio individuale. Ma quali saranno le conseguenze di questo incremento? aumento delle emissioni inquinanti e perdita di biodiversità!

Secondo il WWF circa l’80% del disboscamento della foresta amazzonica è dovuto alla necessità di fare spazio agli allevamenti di bovini. Questa perdita di foreste libera nell’aria migliaia di tonnellate di CO2, e ci priva della possibilità di ri-assorbire l’anidride carbonica presente nell’atmosfera. E non solo, gli impatti si vedono anche dal punto di vista del consumo del suolo: secondo la FAO, gli allevamenti equivalgono al 26% di tutte terre emerse ghiacciai inclusi e il 70% di tutta la superficie dell’Unione Europea è destinata alla produzione di mangime e foraggio per gli animali. In aggiunta, i ruminanti come bovini e ovini producono e rilasciano metano come effetto della digestione e lo stoccaggio del loro letame produce esalazioni di metano e di protossido di azoto. Infatti, l’industria della carne, sempre secondo la FAO, è oggi una delle principali responsabili dell’emissione di gas serra nell’atmosfera, producendo il 14% delle emissioni globali. Senza dimenticare la questione etica: Compassion in World Farming stima in circa 70 miliardi gli animali terrestri allevati ogni anno per l’alimentazione umana, due terzi dei quali condannati ad una vita-non vita negli allevamenti intensivi.

Le possibilità per il futuro

Cosa possiamo fare? La commissione Eat-Lancet suggerisce di ridurre il nostro consumo di manzo del 90% rispetto agli standard attuali, che equivarrebbe a consumare circa una bistecca al mese. Per aiutare il nostro pianeta è suggerito di mangiare più fagioli e legumi, noci e semi. L’ideale, però, sarebbe passare completamente a una dieta vegetariana o, ancora meglio, vegana.

Infatti, diete a base di verdure e legumi hanno un’impronta sul clima significativamente minore. Secondo Nature, entro il 2050 i cambiamenti dietetici e la maggiore propensione alle diete vegetali potrebbero liberare diversi milioni di chilometri quadrati di terra e ridurre le emissioni globali di CO2 fino a 8 miliardi di tonnellate all’anno, che equivalgono circa al 21% delle emissioni odierne. Le diete a base di carne sono responsabili di quasi il doppio delle emissioni di gas serra al giorno rispetto a quelle vegetariane e circa due volte e mezzo rispetto alle vegane. Ad esempio, se un amante della carne è responsabile, ogni anno, di circa 3,3 tonnellate di CO2, un vegetariano è responsabile solo di 1,7 tonnellate, ed un vegano di 1,5. Rinunciare alla carne rossa farebbe, da sola, una grande differenza, riducendo la propria impronta di carbonio a 1,9 tonnellate di CO2. 

Nuove alternative sostenibili

Inoltre, bisogna tenere in considerazione che se i trend di crescita della popolazione mondiale dovessero rimanere invariati, entro il 2050 potremmo ritrovarci in 10 miliardi. Considerando che già oggi circa un miliardo di persone soffre di denutrizione e che siamo già in debito con la Terra in quanto a risorse naturali, occorre trovare qualcos’altro da mettere nel piatto. Diventa allora necessario sperimentare generi alimentari “alternativi”, sostenibili, nutrienti e che possano bastare per un gran numero di persone.

Anche qui una valida soluzione è il passaggio a una dieta vegana: Se infatti sono infatti necessari 930 chili di cereali per nutrire – indirettamente – per un anno una persona la cui alimentazione si basa su alimenti di origine animale, ne basterebbero 180 kg per un’alimentazione su base vegetale (Millstone and Lang,The Atlas of Food: Who Eats What, Where and Why, 2003).

Ma esistono anche cibi di origine animale che non hanno lo stesso impatto della carne che siamo abituati a consumare: gli insetti!

Nel mondo li consumano regolarmente già 2 miliardi di persone, e sono almeno 1900 le specie commestibili. Per promuovere in tutto il mondo la diffusione di questo alimento, la FAO ha pubblicato un rapporto sui benefici dell’entomofagia, il consumo alimentare di insetti.

Tra i benefici citati nel rapporto, si sottolinea che la dieta a base di insetti è sostenibile. Infatti, a differenza del bestiame d’allevamento, sono molto efficienti nel convertire in massa edibile il cibo che mangiano: ad esempio, ai grilli servono 2 kg di cibo per produrre 1 kg di carne, e sono commestibili all’80%, mentre ai bovini occorrono in media 10 kg di cibo per produrre la stessa quantità di carne e solo il 40% di essi è commestibile. Inoltre, allevare insetti richiede meno spazio, meno fatica e minori risorse idriche. Senza contare che gli insetti produrrebbero meno gas climalteranti e sarebbero inoltre meno soggetti a infezioni. Infine, non competerebbero con gli esseri umani nel consumo di cibo, perché potrebbero nutrirsi di scarti vegetali che noi non mangiamo.

Quindi cosa mangeremo?

In conclusione, per rispondere alla domanda iniziale, arrivata nell’ambito del progetto Conversation Community, il nostro attuale regime alimentare è insostenibile. Che sia il passaggio a una dieta completamente vegetariana o vegana, l’entomofagia o altre soluzioni come la carne sintetica, un cambiamento è necessario. Per noi e per il nostro pianeta.

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Piantare alberi non basterà a salvare il Pianeta https://www.mercatocircolare.it/piantare-alberi-non-bastera-a-salvare-il-pianeta/ Sat, 05 Jun 2021 12:45:27 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1668 Serve davvero piantare alberi o è solo greenwashing? e quanti dovremmo piantarne per compensare le emissioni che produciamo?

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Tutte queste aziende che piantano alberi (come la Juve che pianta 200 alberi ogni gol ma ce ne sono anche tante altre) servono davvero a qualcosa o è solo greenwashing?

Domanda di marks su Conversation Community

I doni degli alberi

Partiamo col dire che gli alberi sono fondamentali per la vita sul nostro pianeta. Può sembrare una banalità ma forse non tutti si rendono conto della quantità di funzioni che svolgono: producono ossigeno e assorbono anidride carbonica, contribuiscono alla pulizia dell’aria filtrando le sostanze inquinanti e prevengono l’inquinamento idrico, salvaguardano argini e terreni dall’erosione, nelle città svolgono un’importante funzione di termoregolazione dell’ambiente favorendo il risparmio energetico. Gli alberi sono anche una parte essenziale della catena alimentare e di sostentamento per le specie del nostro pianeta, e un fondamentale presidio di biodiversità con circa l’80% delle specie terrestri ospitate in ambiente forestale e ben 1,6 miliardi di persone che dipendono dalle foreste per la loro sopravvivenza. 

Deforestazione e rimboschimento

Eppure, secondo uno studio pubblicato sulla rivista Nature, da quando è iniziata l’antropizzazione del mondo abbiamo distrutto quasi la metà degli alberi presenti sulla Terra. E continuiamo ad abbatterne oltre 15 miliardi ogni anno. Perché?

Una delle cause principali è l’espansione delle attività di coltivazione agricola. Lo afferma la FAO nel report “The State of the World’s Forests”, che sottolinea anche come l’attività di espansione agricola riguardi maggiormente la produzione di beni agricoli destinati all’esportazione e non a coprire i fabbisogni locali della popolazione.

ogni anno vengono abbattuti 15 miliardi di alberi

Oggi, secondo stime della FAO, le foreste ricoprono complessivamente un’area di circa 4 miliardi di ettari, che corrisponde a circa il 30% della superficie terrestre e il tasso di deforestazione aumenta ogni anno, confermandosi come una delle principali cause del riscaldamento globale, con una produzione di emissioni di gas serra che va dal 12 al 20% delle emissioni totali.

A supporto di attività di rimboschimento sono nate negli ultimi anni iniziative di cittadini, imprese, associazioni e volontari. Tra queste troviamo piattaforme come Treedom e ZeroCo2, ma anche iniziative internazionali come la Billion Tree Campaign, nata con lo scopo di piantare un miliardo di alberi, che è stata rilanciata attraverso un obiettivo ancora più ambizioso: la Trillion Tree Campaign, per piantare un trilione di alberi.

A questo punto la domanda sorge spontanea: quanti alberi dobbiamo piantare per azzerare le emissioni prodotte?

Non si riduce solo a una questione di quantità

Secondo uno studio di fattibilità condotto da Bastin et al., per compensare le emissioni complessive del pianeta per 20 anni, sarebbe necessario piantare alberi per una superficie pari 900 milioni di ettari, un’area equivalente a quella degli Stati Uniti. Ma non è così “semplice”. Questo dato, infatti, non tiene in considerazione la tipologia di alberi da piantumare: i boschi non sono tutti uguali, la quantità di carbonio assorbita dipende dal tipo di albero, dall’ambiente circostante e dalla gestione forestale.

La piantumazione al posto di specie autoctone o in luoghi che non possono accogliere alberi può causare danni ambientali ancora maggiori di quelli che mira a riparare. Infine, è fondamentale il coinvolgimento delle comunità locali, che dovranno prendersene cura nel tempo.
Insomma, non basta semplicemente piantare qualche albero per ripulire il brand (e la coscienza).

Inoltre è bene ricordare che le foreste naturali hanno una maggiore ricchezza di biodiversità rispetto a quelle antropiche.
Per questo la gestione e la salvaguardia delle foreste esistenti è di vitale importanza.
Per quanto piantare alberi resti molto importante, richiede un grande sforzo nel tempo per prendersene cura, con costi che talvolta finiscono per superare quelli di piantumazione.

Anche l’IPCC nel suo report “Climate Change and Land”, afferma che per la lotta alla crisi climatica, la riduzione della deforestazione e la conservazione e la gestione delle risorse forestali sono più efficaci dei rimboschimenti.

Le foreste italiane

In Italia la superficie forestale raggiunge quasi gli 11 milioni di ettari. Oggi il nostro Paese sta andando verso un processo di saturazione, in quanto non ci sono più aree dove rimboschire, e le superfici già esistenti vivono in uno stato di abbandono. Per questo è importante che foreste siano periodicamente soggette a manutenzione, un’azione necessaria per prevenire incendi ed attacchi parassitari.

Per la salvaguardia delle foreste esistenti in Italia sono nate molte iniziative. Tra queste troviamo Forest Sharing, una piattaforma che consente ai proprietari di foreste inutilizzate di entrare gratuitamente in contatto con tecnici forestali. In questo modo, attraverso pratiche di gestione sostenibile, le foreste sono trasformate in beni che generano reddito, come ad esempio prodotti e sottoprodotti legnosi o aree ricreative.

Piantare alberi salverà il mondo?

Per rispondere alla domanda iniziale, quindi, piantare alberi è sicuramente una buona cosa e può essere una soluzione temporanea ma è sbagliato pensare che basterà a salvare il mondo. Dovremmo prima impegnarci a fermare la deforestazione e a salvaguardare e valorizzare le foreste esistenti, facendo un uso corretto dei prodotti e servizi che ci offrono. Ma soprattutto, come sottolineano gli scienziati Erle C. Ellis, Mark Maslin and Simon Lewis, non dobbiamo distogliere l’attenzione dalle cause che stanno determinando il cambiamento climatico: “Piantare alberi rallenterebbe il riscaldamento del pianeta, ma l’unica cosa che potrà salvare noi e le generazioni future da pagare un alto prezzo in termini di denaro, di vite umane e di danni alla natura è una riduzione rapida e significativa delle emissioni di anidride carbonica derivante dall’utilizzo dei combustibili fossili, che devono essere portate a emissioni nette zero entro il 2050”.

Ma cosa intendiamo per emissioni nette zero?
Quando si parla di “emissioni zero” spesso si tende a pensare che significhi smettere di produrre completamente emissioni di gas serra. Ma questo non è possibile. Quello che si può fare è ridurre il più possibile le emissioni e compensare quelle residue rimuovendole dall’atmosfera, portando così in pari il bilancio tra emissioni positive e negative. Cioè a emissioni nette zero!
In particolare ci sono due tecnologie che consentono di rimuovere la CO2 dall’atmosfera in modo più o meno permanente: tramite la biomassa (fotosintesi), e da qui le varie iniziative di rimboschimento, o chimicamente (tramite filtri dell’aria o legandosi a minerali). Nessuna delle due, tuttavia, rappresenta un’alternativa alla necessaria riduzione delle emissioni di CO2.

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L’economia circolare può salvare il clima https://www.mercatocircolare.it/leconomia-circolare-puo-salvare-il-clima/ Sat, 27 Mar 2021 15:07:57 +0000 https://www.mercatocircolare.it/?p=1624 Non ci può essere transizione ecologica senza economia circolare. E le possibilità di evitare una catastrofe climatica, onorando gli impegni al 2050 assunti al vertice […]

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Non ci può essere transizione ecologica senza economia circolare. E le possibilità di evitare una catastrofe climatica, onorando gli impegni al 2050 assunti al vertice Onu di Parigi del 2015, sono legate anche al rilancio dell’economia circolare da cui dipende il 39% dei tagli di CO2. Ma per raggiungere questo obiettivo occorre, a livello globale, raddoppiare l’attuale tasso di circolarità delle merci passando dall’8,6% al 17%. È una sfida che vede l’Italia in prima linea: il nostro Paese per il terzo anno consecutivo è in testa nel confronto sulla circolarità tra le cinque principali economie dell’Unione europea (Germania, Francia, Italia, Spagna e la Polonia, che con l’uscita del Regno Unito dall’UE risulta la 5° economia).

Per questi 5 Paesi sono stati analizzati i risultati raggiunti nelle aree della produzione, del consumo, della gestione circolare dei rifiuti, degli investimenti e dell’occupazione nel riciclo, nella riparazione, nel riutilizzo. Sommando i punteggi di ogni settore, si ottiene un indice di performance sull’economia circolare che nel 2021 conferma la prima posizione dell’Italia con 79 punti, ma senza miglioramenti significativi, seguita dalla Francia, in crescita con 68, dalla Germania e Spagna con 65 e dalla Polonia con 54.

È quanto emerge dal Rapporto nazionale sull’economia circolare in Italia 2021, giunto alla sua terza edizione, realizzato dal CEN-Circular Economy Network – la rete promossa dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile, di cui Mercato Circolare è socia – in collaborazione con Enea.

Il focus del rapporto di quest’anno riguarda il contributo che l’economia circolare dà alla lotta ai cambiamenti climatici. Secondo il Circularity Gap Report 2021 del Circle Economy – che misura la circolarità dell’economia mondiale – raddoppiando l’attuale tasso di circolarità dall’8,6% (dato 2019) al 17%, si possono ridurre i consumi di materia dalle attuali 100 a 79 gigatonnellate e tagliare le emissioni globali di gas serra del 39% l’anno. Avvicinandosi così all’obiettivo zero emissioni al 2050 previsto dall’Unione europea per rispettare l’Accordo di Parigi.

In questa direzione, indicata dalla Ue, l’Italia ha compiuto alcuni importanti passi avanti. Nel settembre 2020 sono stati approvati i decreti legislativi di recepimento delle direttive in materia di rifiuti contenute nel Pacchetto economia circolare mirato a prevenire la produzione di rifiuti, incrementare il recupero di materie prime seconde, portare il riciclo dei rifiuti urbani ad almeno il 65% entro il 2035, ridurre a meno del 10% entro la stessa data lo smaltimento in discarica. Entro il marzo 2022 dovrà inoltre essere approvato il Programma nazionale di gestione dei rifiuti. E il nuovo Piano Transizione 4.0, più orientato alla sostenibilità rispetto al precedente Piano Industria 4.0, prevede specifiche agevolazioni per gli investimenti delle imprese finalizzati all’economia circolare. Misure importanti ma non ancora sufficienti.

“Presi dalle emergenze, in Italia stiamo sottovalutando la portata del cambiamento europeo in atto verso l’economia circolare. La sfida più importante che abbiamo ora di fronte – ha dichiarato Edo Ronchi, presidente del Cen, alla presentazione del rapporto – è la definizione del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Bisogna rafforzare le misure per l’economia circolare e assegnarle un ruolo strategico nel Piano nazionale per la Transizione ecologica. Nella corsa verso un nuovo modello circolare il nostro Paese è tra i paesi leader in Europa, ma stiamo perdendo posizioni. E’ un’occasione che non possiamo mancare, non solo per l’ambiente ma anche per la competitività delle aziende italiane“.

“L’economia circolare – ha aggiunto Roberto Morabito, Direttore del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di Enea – riveste un ruolo fondamentale nel percorso verso sistemi produttivi e territori, a partire dalle città, più sostenibili, ma anche nel raggiungimento degli obiettivi di neutralità climatica: oltre il 45% delle emissioni sono associate all’utilizzo dei prodotti e alla gestione del territorio in tutte le sue componenti e la transizione circolare può portare all’abbattimento fino a circa il 40% del totale delle emissioni globali. È necessario però da una parte essere più ambiziosi nella parte dedicata alla transizione circolare del PNRR, proprio in quanto occasione unica e imperdibile, e dall’altra mettere in campo da subito tutti gli strumenti necessari, tecnologici, regolatori, finanziari e soprattutto di governance“.

Che benefici otterremmo se si implementasse l’economia circolare?

Bastano alcuni esempi per avere un’idea delle potenzialità legate al rilancio dell’economia circolare.

Nell’Unione europea nel 2017 la produzione della plastica ha generato 13,4 milioni di tonnellate di CO2eq (senza contare quelle derivanti dallo smaltimento), pari al 20% delle emissioni dell’intero settore chimico. Se la plastica viene ottenuta attraverso il riciclo invece che utilizzando idrocarburi le emissioni scendono anche del 90%.

Sempre dal punto di vista delle emissioni, quelle del settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) potrebbero diminuire del 50% se aumentasse il loro riutilizzo. Un esempio: prolungare di un anno la vita di tutti gli smartphone dell’Ue permetterebbe, secondo la Commissione europea, di risparmiare 2,1 milioni di tonnellate di CO2 l’anno, equivalenti all’eliminazione di un milione di auto dalla circolazione.

Il settore tessile rappresenta il 10% delle emissioni mondiali di gas serra: più di quelle generate dal traffico aereo e navale. Nel 2017 a livello globale sono state prodotte 99 milioni di tonnellate di fibre tessili (di cui 65 milioni di tonnellate di fibre sintetiche da fonti fossili, con una crescita annua del 2,5%). Con questo tasso di crescita l’Ellen MacArthur Foundation stima che entro il 2025 verranno prodotti tra 130 e 145 milioni di tonnellate di fibre tessili. E finora è stato fatto poco per la sostenibilità del settore: il riciclaggio primario globale è fermo a meno dell’1%. Aumentare la vita utile di un capo indossandolo il doppio delle volte ridurrebbe le emissioni del settore del 44%.

La misura di circolarità che permette di ridurre l’impronta carbonica della produzione dei metalli è soprattutto il riciclo. Quello dell’acciaio, ad esempio, secondo l’Unep (United Nation Environmental Programme), comporta un impatto stimato tra il 10% e il 38% di quello derivante dalla sua produzione da materie prime vergini; l’impatto dell’alluminio riciclato è tra il 3,5% e il 20% di quello prodotto utilizzando le miniere di bauxite.

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